L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Fino a ieri ero convinto che Berlusconi godesse all'idea che dopo di lui ci sarà il diluvio. Come tutti i grandi uomini, il Cavaliere non pensa certo a ritirarsi in pensione. Credendosi immortale, non si pone il problema di chi dovrà subentrargli e nel caso qualche volta se lo sia posto, sono certo che abbia risolto la questione con una scrollata di spalle. Anche quando ha fatto il nome di qualcuno, indicandolo come successore, si intuiva il gioco “per capire l'effetto che fa”. Infatti spesso i candidati sono durati lo spazio di qualche mese e poi è venuto il turno di altri. Ieri, dunque, mi ha stupito leggere che il presidente del Consiglio è preoccupato per le sorti del partito da lui fondato, al punto da temerne la disgregazione una volta uscito di scena. Questa è la previsione di qualsiasi osservatore di cose politiche e il timore di molti elettori, i quali si rendono conto che il PdL, pur essendo il più grande partito italiano, è sostanzialmente Berlusconi. Lui e solo lui è il motore, il catalizzatore di voti e anche le ultime elezioni lo hanno dimostrato. Perciò è chiaro a chiunque che se domani il Cavaliere si facesse da parte per dedicarsi ad altro, stufo della politica, il Popolo della Libertà sarebbe finito. Nessuno fra i tanti che sgomitano per prenderne il posto sarebbe in grado di raccoglierne l'eredità. Dai dirigenti del partito per finire ai ministri, non c'è un esponente del PdL che sia portatore di consensi come il premier. Magari sanno parlare bene e sono pure esperti della materia loro affidata, ma a mio giudizio mancano di carisma, elemento indispensabile per reggere il peso di un movimento che ormai raccoglie le preferenze di quasi il 40 per cento degli elettori e vive del rapporto diretto con il proprio leader. Del resto, Berlusconi ha buone ragioni per preoccuparsi e non solo per il futuro, ma anche per il presente. Fossimo al suo posto non saremmo affatto tranquilli di fronte a un partito in subbuglio. E che nella pancia della Balena azzurra si registrino brontolii diffusi non è una novità, non solo per l'opposizione astiosa che da mesi Fini muove al suo alleato, ma anche per il moltiplicarsi delle correnti, segno evidente che il magma bolle e si rischia l'esplosione. L'esperienza della prima Repubblica e in particolare della Democrazia cristiana dimostra che le correnti non sono mai una buona cosa. Anche se sorgono con le migliori intenzioni, poi finiscono per diventare centri di potere, strutture dove si discute solamente di poltrone e non di come conservare e magari aumentare i voti e far funzionare la baracca. La forza del PdL risiede nel leader forte e nel programma chiaro, non nella costellazione di fondazioni. A quanto servano quest'ultime lo dimostra il Pd, che ormai rischia di avere più fondazioni che elettori. Il partito si salva se resta unito e appoggia il suo capo. Se comincia a dividersi, farà la fine della Dc, i cui dirigenti ancora sognano di rifondarla, ma di cui, a distanza di 15 anni dalla sua scomparsa, nessuno tra gli elettori sente la mancanza. Dunque, il Cav. blocchi le correnti, che per troppa corrente nel migliore dei casi si finisce con il mal di schiena. Nel peggiore fulminati.