L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Ciò che c'è da dire a proposito di Fabio Granata è tutto sintetizzato nel suo cognome. Il deputato siciliano in procinto d'essere cacciato dal PdL, nomen omen, è esplosivo. Un genere di materiale bellico che di solito gli eserciti sparano in campo avversario, contando che mieta più vittime possibile. Il problema che il Granata di Montecitorio scoppia sempre in campo amico, o, quantomeno, in quello alleato, poiché i soldati vestono la stessa divisa dell'onorevole bomba. Di qui il sospetto di intelligenza col nemico, ovvero di militare nell'esercito di Silvio ma di lavorare in realtà per i rivali. Nulla di nuovo del resto, perché anche qui il cognome aiuta a orientarsi. Granata, secondo il dizionario della lingua italiana, sta per rosso, un rosso particolare del colore della melagrana, ma sempre indubitabilmente rosso. Ora, che cosa ci faccia un tipo così in un partito dove il vermiglio è bandito dalla nascita, è un'altra faccenda. Di lui si racconta che abbia tentato l'avventura prima nel Fronte della gioventù di Siracusa e poi nel Movimento sociale. Quando crollò la prima Repubblica pare abbia tentato di riciclarsi con la Rete di Leoluca Orlando, l''ex democristiano che a forza di promettere la primavera siciliana è finito a far l'autunno con Di Pietro. Cacciato anche da lì, è ritornato all'ovile, accasandosi nella giunta di Totò Cuffaro, il governatore siciliano condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, al fianco del quale non risulta essersi mai preoccupato di collusioni con i picciotti. Già una volta aveva provato a entrare in parlamento, ma senza successo a causa di carenza di voti. Stavolta, grazie al Porcellum che ha portato in aula anche gli sconosciuti, ce l'ha fatta. Manco a dirlo, appena varcato il portone d'ingresso, s'è messo all'opera, mietendo le sue prime vittime. Il proiettile umano esploso dentro il PdL ovviamente è stato potenziato affinché possa far più danni di quanti ne farebbe un deputato semplice, sconosciuto alla maggioranza degli italiani. Non passa giorno, dunque, senza che Repubblica o il Fatto quotidiano lo intervistino o una qualche trasmissione tv lo inviti per amplificare le sue sparate. Ormai Granata è il beniamino di Travaglio e pure di Santoro. Dopo averle provate tutte, sperano nell'ex missino trasformato in retino e dipietrino. Naturalmente, che un governo sostenuto da una maggioranza tra le più solide rischi di cadere per un personaggio del genere, dimostra che l'Italia non è un Paese normale, ma un manicomio. Altrove l'avrebbero già messo alla porta senza troppi complimenti. Da noi invece è fiorito un dibattito sul diritto al dissenso e sulla tolleranza delle opinioni, unico distinguo tra un partito democratico e una setta. Io mi chiedo soltanto se, con quel che accade nel mondo e ciò che c'è da fare nella nostra povera Repubblica, davvero ci sia tempo da perdere con Cipressina, pianta che, sempre secondo il Devoto Oli, corrisponde a un altro significato di Granata. Io, fossi in Berlusconi, l'avrei già caricato nel mortaio e proiettato il più lontano possibile.