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L'EDITORIALE

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di Maurizio Belpietro

Paolo Franzoso
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Dovendo rispondere all'articolo di Giampiero Mughini e alla lettera del direttore di Raiuno Mauro Mazza, ieri non ho potuto replicare a un vecchio amico liberale come Piero Ostellino, il quale sulla prima pagina del Corriere di giovedì rimproverava Libero e il Giornale di essere diventati giustizialisti per convenienza politica, sostenendo che non tocca ai giornali indipendenti organizzare campagne  pro o contro partiti politici. «Dovere dei media è riferire i fatti ed esprimere giudizi verificabili nei fatti. Il resto è militanza politica», è l'inflessibile sentenza dell'ex direttore di via Solferino, il quale a sostegno delle sue tesi chiama a raccolta i suoi studi, citando tra l'altro Alexis de Tocqueville. Cominciamo dalla prima accusa, quella d'aver voltato gabbana per buttar giù Fini e di esserci trasformati da garantisti in giustizialisti. Niente di più falso. A differenza di altri, sempre pronti a condannare, noi non reclamiamo provvedimenti giudiziari nei confronti di nessuno, tanto meno del presidente della Camera. Non siamo manettari, come certi colleghi del Fatto. Semplicemente da settimane ci limitiamo a sottolineare le contraddizioni in cui è caduto l'ex capo di An. Dopo aver posto la questione morale e aver chiesto per scopi politici le dimissioni degli avversari, ora che affonda in una questione morale a sfondo immobiliare si tira indietro e si nasconde dietro gli incarichi istituzionali, imitando Scalfaro, che nel 1994 per sfuggire all'inchiesta sui fondi neri del Sisde pronunciò a reti unificate il famoso «Non ci sto». Vedi caro Piero, io non condanno nessuno, neppure Fini, ma anche da Fini esigo risposte credibili. E se non arrivano non mollo la presa, facendo anche una campagna giornalistica. Se il presidente della Camera avesse risposto in maniera esauriente ai dubbi sollevati dalla vicenda dell'appartamento di Montecarlo e dagli appalti in Rai nessuno ne avrebbe chiesto le dimissioni. Ma Fini, al contrario, di fronte ai nostri primi articoli, con esibita arroganza, ha fatto spallucce, dando prova di considerare la «stampa indipendente» alla stregua di un fastidioso insetto. Nessuna domanda ha ricevuto risposta, se non quando i toni si sono alzati e le contraddizioni sono state evidenti a tutti, anche agli occhi pigri di certi colleghi che ti stanno a fianco e lavorano per il tuo quotidiano. A questo punto la terza carica dello Stato, cioè uno che dovrebbe rappresentarci, è stato costretto a fornire una versione di ciò che è accaduto. Però non lo ha fatto con un'intervista o in conferenza stampa, ma ha preferito un comunicato, da tutti  giudicato lacunoso, anche dal Corriere. Cosa avrebbe fatto in un altro Paese la libera stampa, quella liberale che si ispira all'Alexis de Tocqueville che tu citi? Te lo dico subito: lo avrebbe spellato vivo, reclamandone le dimissioni immediate. Perché non è vero che i giornali non fanno campagna e non mettono alla porta i politici: siamo cresciuti tutti nel mito dello scandalo Watergate e i due colleghi più famosi del mondo, Bob Woodward e Carl Bernstein. I quali fecero esattamente questo: un'inchiesta a più puntate che si concluse con la richiesta al presidente degli Stati Uniti di far le valigie. I giornali sono per definizione dei cani da guardia e una volta fiutata una pista non l'abbandonano e fino a che non hanno spolpato l'osso fanno il loro mestiere. Del resto è quello che abbiamo fatto anche con Scajola. Quando capimmo che non era in grado di dare una versione decente dell'acquisto della casa di fronte al Colosseo, ne reclamammo le dimissioni, così come le avevamo chieste a suo tempo, quando liquidò Marco Biagi come un postulante. Altrettanto abbiamo fatto per altri uomini politici, a volte riuscendoci a volte no. So che non a tutti piacciono le nostre campagne. Certo non piacquero a D'Alema, quando fu costretto a mollare l'appartamento di favore che aveva ricevuto da un ente previdenziale. E probabilmente non piacquero neppure a Vincenzo Visco, il Dracula fiscale di Prodi, il quale fu costretto a lasciare per la rimozione degli ufficiali delle Fiamme Gialle che avevano indagato su Unipol. Comunque caro Piero, indipendentemente dal fatto di essere garantisti o giustizialisti, senza l'intervento di quel giornalismo che tu oggi marchi come «militanza politica», D'Alema, Visco, Scajola e gli altri starebbero tutti al loro posto, perché la magistratura non si occupò mai di loro. E molto probabilmente continuerebbe a starci anche Fini, proseguendo nell'opera di guastatore della maggioranza che si è autoassegnato.

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