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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Tatiana Necchi
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LQualche giorno fa abbiamo pubblicato una vignetta del nostro Benny che ritraeva il segretario del Pd come Aldo Moro all'epoca della sua prigionia. Il titolo scherzoso era:  “Hanno rapito Bersani”. Da giorni infatti si erano perse le tracce del leader del maggior partito di sinistra: nessuna dichiarazione, nessun segno di iniziativa politica. Mentre nella maggioranza infuriava una polemica capace di far traballare il governo, il Partito democratico era chiuso per ferie.  La nostra provocazione ha avuto l'effetto di far uscire il segretario pro tempore dal letargo estivo in cui si era rintanato. Bersani non è però stato il solo a risvegliarsi. Di ritorno dalle vacanze si è fatto vivo anche Veltroni, il quale dopo aver promesso di andare in Africa continua a restare nei dintorni,  con l'illusione di contare ancora qualcosa. L'uscita dell'ex sindaco di Roma è stata in puro stile veltroniano, ovvero senza senso del ridicolo. Walter ha vergato una lettera al Corriere della Sera dall'incipit fulminante: scrivo al mio Paese, spiegando di avere un minimo titolo per farlo perché, nel passato, c'è chi l'ha votato. Fosse una giustificazione fondata, saremmo alluvionati di lettere, perché ogni candidato premier trombato si sentirebbe in dovere di prendere carta e penna e rivolgersi alla nazione: da Occhetto a Prodi, da Rutelli ad Amato. Di quanto l'Italia sentisse il bisogno dell'intervento veltroniano si è avuta prova il giorno dopo, quando quasi nessuno gli ha risposto. Quasi, perché uno ha voluto replicargli, ovvero Pier Luigi Bersani, il quale per controbilanciare ha imbucato i suoi pensieri a Repubblica, giornale avversario del Corriere. Il numero uno del Pd anziché parlare al suo Paese al pari di Veltroni ha preferito rivolgersi  direttamente ai leader della costellazione di sinistra e anche a quelli che sinistri non sarebbero, ma sono pronti a diventarlo pur di battere Berlusconi.  Un appello per un'Alleanza democratica che coinvolga tutti, ex democristiani, ex fascisti, ex e tuttora comunisti. Una grande ammucchiata che ha un solo obiettivo, quello di sempre. Ossia far fuori il Cavaliere per poi ripiantare i vegetali, come ha ben sintetizzato ieri il Manifesto, mettendo a dimora l'Ulivo e altre piante tanto care alla sinistra. Nulla di nuovo ovviamente, anche se a tanti, a cominciare dal professor Romano Prodi, è parsa una genialata. Sono più di quindici anni che i progressisti si sbattono per creare un fronte antiberlusconiano e sono da tre lustri che battono il naso, perdendo volta dopo volta consensi fino ad essersi assottigliati. Da questo gran scrivere e riproporre cose vecchie, si ricava una sola lezione. Che magari non sarà scomparso Bersani, come dimostra il suo risveglio dal clima agostano, ma di certo è sparita la sinistra o per lo meno non c'è niente di nuovo sotto l'Ulivo. L'Italia è al centro di cambiamenti complessi e loro, i leader di una parte politica stantìa, non sanno dire che cose vecchie, già sentite e bocciate dagli elettori. E anche quando si sforzano di trovare qualcosa che stupisca, tirano fuori idee che non c'azzeccano niente.  Come potrà funzionare, ad esempio, un architetto colto e elitario come Stefano Boeri nella sfida per le comunali di Milano? Ancora la sinistra non si è ripresa dalla batosta precedente, quando candidò il prefetto Bruno Ferrante, uomo elegante e cortese ma con lo stesso appeal elettorale di un cipresso, e il Pd ci riprova. Ancora una volta più che al Paese reale, per dirla con Veltroni il principale partito d'opposizione sceglie di parlare al Paese che gli piace, ovvero quello radical chic. Paradosso di una forza che vorrebbe rivolgersi alle masse popolari ed è rappresentata in massa solo da architetti, avvocati, magistrati, ma nemmeno da un operaio o da un bottegaio .   Stando così le cose, Berlusconi almeno dalla sinistra non ha nulla da temere. A farlo cadere può riuscire solo qualche vecchio democristiano.  Perché, come è noto, gli ex dc sono cresciuti a pane e crisi di governo e adesso che gli esecutivi tirano lisci fino alla conclusione della legislatura, mancano sia l'uno che le altre. Vuoi mettere quei bei ministeri balneari, che duravano una stagione e poi cadevano? Ogni volta era una festa, per potersi acchiappare un'altra poltrona.

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