L'editoriale
di Franco Bechis
Silvio Berlusconi ritiene di avere uno stile di vita appropriato e che tutto quello che viene rivelato sulle sue serate in villa sia solo fango. Gianfranco Fini ritiene di avere uno stile di vita familiare appropriato e che avere aiutato il cognato Giancarlo Tulliani a prendere commesse in Rai e casa a Montecarlo non siano fatti disdicevoli, ma solo “fango” gettato lì dai suoi avversari politici. La politica insomma da un anno e più sta nuotando nel fango, vero o presunto che sia. Fango il caso Noemi, fango il caso D'Addario, fango il caso Frau (la suocera di Fini casalinga, ma imprenditrice per la Rai), fango il caso Tulliani, fango in arrivo anche con Ruby Rubacuori. Su Libero in questo tempo abbiamo raccontato tutti i fatti, cercando di distinguere fango vero da quello presunto. I lettori lo sanno e si saranno formati la loro opinione. Ma quando c'è così tanto fango in giro e tutti lo analizzano e se ne lamentano, è necessario un potente idrante, l'unico in grado di spazzarlo via in un secondo: il voto. Chi se non i loro potenziali elettori hanno oggi il diritto di giudicare la rilevanza o meno di quei comportamenti pubblici e privati dei due leader politici? Loro - gli elettori - debbono essere i primi giudici. I magistrati lavoreranno su Fini e Berlusconi nei tribunali civili e penali per stabilire se qualche violazione dei codici sia mai stata compiuta in tutti questi casi. A quanto sembra hanno una certa inclinazione a indagare sempre e ovunque su Berlusconi (perfino fra le sue lenzuola), e se invece di mezzo c'è solo Fini o qualche politico in altri fronti, le toghe improvvisamente si ammalano di accidia. L'abbiamo visto mille volte in questi anni e ormai ce ne siamo fatti una ragione. Lamentarsene è tempo sprecato: tutti si lamentano quando in Italia qualcuno propone una riforma della giustizia di impronta anglosassone, con un pm “politico” e non si capisce perché: in nessun paese come questo i pm sono così politici. Quando gli elettori nel 2008 misero la loro scheda nell'urna non erano a conoscenza né del programma politico - assai diverso da quello comune del centrodestra - elaborato in questi mesi di Fini, né delle strizzatine d'occhio del suo nuovo partito a quelli che all'epoca erano avversari politici. È avvenuta una sorta di rivoluzione copernicana, con l'ala di destra del Pdl che è finita a sinistra. Un'operazione sottratta indebitamente al giudizio dei veri azionisti della politica: gli elettori. Che hanno diritto in democrazia invece a giudicarla, approvarla o bocciarla. Servirebbe il voto come il pane, per spazzare via la confusione di queste settimane e togliere questo fango reale che si è addensato nei palazzi della politica da mesi. C'è un altro tema - è vero - nuovo nella politica rispetto al voto del 2008, ed è quello dei comportamenti e degli stili di vita personali di alcuni leader. Non erano note le vicende private né di Berlusconi, né di Fini. Gli elettori non conoscevano le gioiose feste di villa Certosa, di palazzo Grazioli o di Arcore del presidente del Consiglio, né il buon cuore mostrato o la facilità con cui belle ragazze senza arte né parte sono in grado di avvicinarlo e di restare in contatto con lui. Non era noto nulla nemmeno del clan Tulliani, e delle scorribande private effettuate fra le finanze pubbliche degli italiani (Rai) e dei militanti di An (Montecarlo). Sono fatti privati? Qualcuno sì, altri meno. Ma è vero che tutti possono avere una loro rilevanza pubblica. Chi è in grado di deciderlo? Solo gli elettori. Gli italiani, a cui andrebbe restituita la parola. Per decenni i comportamenti privati dei politici italiani non hanno avuto rilevanza pubblica. Chiacchericcio molto, ma non a caso si coniò l'espressione di “vizi privati, pubbliche virtù”. Grandi leader celebri baciapile che in pubblico erano in un modo e in privato in ben altro. Le informazioni circolavano nella cerchia degli addetti ai lavori, ma non un rigo trapelava sulla stampa e agli elettori non era noto nulla. Anzi, era noto il contrario di quel che davvero avveniva. Quella privacy ancora oggi è protetta - chissà perché - con sacralità. Niki Vendola ha sostenuto che l'Italia abbia già avuto premier gay. Ma si è ben guardato dal farne i nomi. Mai fosse emerso qualcosa su amanti dello stesso o dell'altrui sesso, tutti avrebbero negato con sdegno. Fosse stata pizzicata un'amica sconveniente in questura, potete stare certi che non un leader della prima Repubblica avrebbe messo a rischio la propria reputazione alzando il telefono per chiedere protezione alla malcapitata. L'avesse cercata lei, avrebbe trovato di fronte un muro di gomma nella migliore delle ipotesi, Nella peggiore era meglio non trovarsi nei suoi panni. Berlusconi non ha mai fatto né della castità né della morigeratezza dei costumi una bandiera politica. Non era materia di scambio con il suo elettorato. Lo era invece lo stile di vita e il credo politico di Fini, così modificato. Questo pensiamo, ma non possiamo decidere noi. Può essere che non sia così. C'è un solo modo di saperlo: chiederlo agli azionisti della politica. Agli elettori, che sono gli unici in grado di fornire la risposta. È giunto il momento di farlo, per il bene della politica e dello stesso Paese. Senza aggiungere più pasticcio a pasticcio.