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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Commentando l'annunciata partecipazione di Fini e Bersani al programma di Saviano, giorni fa invitavo il centrodestra a ignorarla, onde evitare di cadere nella trappola delle polemiche, le quali fanno esclusivamente il gioco dei Santoro cui preme il pieno di ascolti più della completezza dell'informazione. Debbo riconoscere però che di fronte alle accuse dell'autore di Gomorra era difficile tacere e il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha fatto bene a replicare alle insinuazioni contro il suo partito. A conclusione di un lungo discorso tutto teso a dimostrare che la mafia sta al Nord più che al Sud, o quantomeno che la testa è emigrata nel Settentrione e lì ha trovato comodo inguattarsi con i suoi proventi, lo scrittore si è lasciato sfuggire che la 'ndrangheta «interloquisce con la Lega». Un addebito tutto da dimostrare, gettato lì senza lo straccio di una prova, se non la conoscenza - penalmente irrilevante - tra un consigliere regionale e il rappresentante di una cosca. Basta per accusare un partito o per far credere che questi è in combutta con le organizzazioni criminali? Certo che no, anche perché se così fosse dovremmo impiccare tutti i partiti, i quali, a destra come a sinistra, hanno ben altre frequentazioni. Però basta per gettare un'ombra e anche grave. Attenzione: non dico che non si debba parlare di 'ndrangheta, evitando di denunciarne le propaggini sopra il Po. Tant'è che il primo a parlare della maxi inchiesta cui ha fatto riferimento l'autore di Gomorra fu proprio Libero, con uno scoop di Gianluigi Nuzzi pubblicato in prima pagina. Ma una cosa è raccontare l'infiltrazione dei boss, un'altra è usarla contro una sola parte politica che non ci garba. Perché parlare di Lega e tacere invece dell'ex sindaco piddino arrestato a causa di traffici peggiori? Di fronte alle accuse, Maroni - che in fatto di misure contro la criminalità mafiosa vanta numeri che pochi suoi predecessori possono esibire - si è detto pronto a un confronto pubblico con lo scrittore, ma Saviano ha preferito declinare, dicendosi allarmato e, ovviamente, subito è montata la polemica, nascondendo la faccenda dietro la foglia di fico della libertà di stampa. In realtà, dietro a tutto ciò non c'è nessuna libertà in pericolo, ma piuttosto l'uso politicamente distorto che ormai si fa di ogni programma di informazione in onda sulla Rai. Se la tv pubblica non fosse la macchina da propaganda di una casta intellettuale che a viale Mazzini si è incistata e ci ha fatto il nido, infatti dovrebbe cogliere l'occasione di un confronto tra ministro e scrittore come una straordinaria occasione. Un momento di alta televisione, senza rete e senza i trucchi che abitualmente vengono messi in campo. Ma la Rai - o per lo meno coloro i quali l'hanno occupata - non hanno alcuna intenzione di fare vera televisione, ma solo di fare politica. Dunque spazio a Spatuzza e Ciancimino, per poter dire che Berlusconi è mafioso e ordì gli attentati dei primi anni Novanta. Spazio ad anni di inconcludenti indagini anti-mafia tutte tese a dimostrare che il Cavaliere voleva cancellare il carcere duro per i boss. Silenzio invece sulle parole di Giovanni Conso, il giurista tanto caro alla sinistra che fu ministro nel 1992, quando esplodevano le bombe. La sua testimonianza di fronte alla commissione antimafia smonta infatti tutte le balle: fu lui a ordinare di sospendere il 41 bis per centinaia di mafiosi detenuti all'Ucciardone. Fu lui, ministro del governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi e benedetto dal campanaro Oscar Luigi Scalfaro, a dare un colpo di spugna alle misure che i picciotti volevano abolite. Non fu Berlusconi a fare un piacere alla mafia, ma i cari esponenti della prima Repubblica, molti dei quali oggi sono in prima fila per processare il Cavaliere. Però questa è una rivelazione che la tv verità dei Santoro, dei Saviano, dei Travaglio e delle Gabanelli non racconterà mai. Pagati con i soldi nostri, loro preferiscono raccontarci ogni sera che i mafiosi siamo noi.

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