L'editoriale
di Mario Giordano
Tutti i leader hanno un periodo d'oro. Quello di Fini è durato solo dieci giorni. Che ci volete fare? Evidentemente la luna di miele è proporzionata alla statura del protagonista, oltre che alla sua voglia di lavorare: che Gianfranco non sia mai stato uno sgobbone lo si sapeva, che non fosse una cima lo si immaginava, che riuscisse a passare dalla cresta dell'onda alla cresta dell'onta in meno di due settimane, beh era difficile da immaginare anche per chi lo ha sempre accusato di avere lo spessore politico di una cavigliera ortopedica gibaud. Invece è successo proprio così. Fateci caso: dieci giorni fa il leader di Futuro e Libertà era osannato come il salvatore dell'Italia, acclamato nei canali televisivi, celebrato nei salotti radical vip. Parlava a Berlusconi con toni aggressivi, quasi intimidatori. E sembrava volare con il vento in poppa, sembrava destinato a conquistare il mondo, sembrava avesse nella sue mani il carro destinato alla vittoria e per questo faticava a tenere a bada la gente che ci voleva saltare su. E adesso? Gianfranco perde i pezzi, incespica, vacilla. Manda messaggi confusi. Ha lanciato le sue truppe all'assalto in campo scoperto, ma non sa più dire loro dov'è il nemico: a destra? A sinistra? Al centro? Sotto? Sopra? Di lato? Sembra un comandante con la bussola impazzita, sofferente per una labirintite. E pure privo del Tom Tom. Il messaggio dell'altro giorno è stato comico. È andato su Internet per essere nuovo, gggiovane, molto diretto, e soprattutto chiaro. Infatti: proprio chiaro. Così chiaro che quando ha finito di parlare tutti si sono chiesti: ma che diavolo voleva dire? Dev'esserselo chiesto anche lui, dal momento che poche ore dopo ha emesso una nota chiarificatrice del messaggio appena pronunciato. Come se io domani chiedessi al direttore di scrivere un articolo per spiegare che cosa volevo dire oggi. Vi pare? La nota cominciava così: «L'interpretazione autentica delle mie parole è facile…» Eh, come no? Facile, facilissima. Tanto che dopo il messaggio diffuso via Internet e la nota interpretativa per spiegare l'interpretazione autentica, il giorno dopo tutti, ma proprio tutti, dagli editorialisti dei giornali ai finiani scatenati sui forum, si chiedevano: ma che diavolo voleva dire Fini? La risposta è più facile dell'interpretazione autentica: probabilmente nulla. Fini non vuole dire nulla, non sa dire nulla, non può dire nulla. E' finito all'angolo come un bambino che non ha fatto i compiti. Ha paura delle urne. Non riesce a controllare i suoi. Si è reso conto che la Santa Alleanza anti-berlusconiana con Di Pietro e Vendola non riuscirebbe a reggere. Il Terzo Polo con Casini e Rutelli è in affanno dal momento che evidentemente raccoglie più leader che voti. L'amico Montezemolo s'è schiantato con la Ferrari all'ultima curva del mondiale. Così all'improvviso il leader futurista s'è reso conto di aver fatto un passo più lungo della gamba. E come se non bastasse ieri, da Lisbona, Berlusconi l'ha liquidato in due parole, come non si fa nemmeno con la colf filippina: «Le elezioni? Le vinciamo anche senza Fini. Le riforme? Le facciamo con una vera alleanza di centrodestra». Come a dire: Gianfranco? Gianfranco chi? E pensare che dieci giorni fa sembrava avesse il mondo in mano. Ricordate la convention di Bastia Umbra? Applausi a scena aperta, invocazioni adulanti, esaltazioni da sfiorare il culto della personalità. “L'uomo che l'Italia aspettava, il leader che salverà il Paese”. Arrivarono allora gli inviti per la trasmissione del momento (Saviano-Fazio), le articolesse devote, i riconoscimenti più impensati, mentre i peones si affettavano a imbarcare sotto il manto finiano un po' di tutto, da San Francesco (“Francesco dà una lezione di integrazione”: era sicuramente a favore del voto agli immigrati) al giovane Holden, da De Andrè a Asor Rosa (“Noi che possiamo capire Asor Rosa”). “Vieni via con me verso l'Italia di domani”, titolava euforico il Secolo d'Italia. E, accanto, un articolo dedicato al mondo della cultura, con Gabriele Muccino in testa, che si rivolgeva a Fini con toni accorati: “L'Italia ha bisogno di lei”. Ecco, è già cambiato tutto. Con buona pace di Muccino, l'Italia sembra poter fare tranquillamente a meno di Fini. Perché i suoi futuristi potranno capire Asor Rosa, ma faticano a farsi capire dagli italiani. Non hanno i numeri in Parlamento, non hanno i numeri nel Paese, forse non hanno i numeri tout court, a parte i numeri da circo, s'intende, che a quelli ci pensa Bocchino. Gianfranco s'è preso una bella tirata d'orecchie da Napolitano, i suoi messaggi cadono nell'incertezza generale, i militanti s'arrovellano dubbiosi («Saremo badogliani? Saremo traditori?»). E Saviano sarà pure costretto ad ospitare un leghista come Maroni, che nel frattempo è diventato il simbolo della lotta (vera) alla mafia, mica le chiacchiere di Fabio Granata sulla legalità… Verrebbe da dire: povero Gianfranco, se non temessimo la querela degli eredi della contessa Colleoni. No, proprio “povero” no: con la casa al cognato, i contratti Rai alla suocera e l'occupazione abusiva della poltrona di presidente della Camera, non si può dire che gli manchino i mezzi. Però, ecco, raramente si era vista la dissipazione così rapida di una patrimonio politico insperato. Dieci giorni fa sembrava avesse vinto alla lotteria politica nazionale, ora s'accorge d'aver buttato il biglietto nel water: in meno di 300 ore è sceso dall'altare alla polvere, ha smesso i panni del meraviglioso leader e s'è ritrovato addosso quelli del Calimero, ha perso il mood positivo e si trova circondato da un'aura di perplessa negatività. Momento davvero difficile. Ha detto che bisogna fermarsi al pit stop. Ma qualcuno comincia a pensare che far ripartire la Formula Gianfranco sarà più difficile che trasformare Elisabetta Tulliani in un'intellettuale. Una prece. Mario Giordano