L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Giovedì, da Santoro, ho dato a Rosy Bindi un'idea gratis. Giacché non passa giorno che non contestiate il Cavaliere senza però riuscire a farlo traslocare da Palazzo Chigi, le valigie fatele voi progressisti: levate le tende con cui vi siete accampati in Parlamento e chiedete a Napolitano di fissare al più presto la data delle elezioni. La mia era una garbata presa per i fondelli della presidentessa piddina, la quale però mi è parsa colpita. Non so se dal concetto o dalla sua gratuità, sta di fatto che nel fine settimana l'opposizione si è messa a invocare a gran voce il voto come mai aveva fatto prima d'ora. Ovviamente si è trattato di una messinscena, cui soltanto quegli sciocchini del Giornale possono credere. Per quanto ne parli in tivù e sui giornali, la sinistra non ha alcuna voglia di andare alle urne, perché sa che ne uscirebbe peggio di come sta ora, anche se a molti ciò potrà sembrare un'operazione impossibile perfino a un perdente nato come Pier Luigi Bersani. Ma è proprio questo il paradosso: chi ha buone probabilità di perderle chiede le elezioni, chi invece ha quasi la certezza di uscirne vittorioso le aborre manco fossero un giudizio in tribunale. Fino a pochi mesi fa era lo stesso Berlusconi a vagheggiare il ricorso alla sovranità popolare per spazzar via Fini e il neopartitino da lui fondato, al fine di liberarsi in una sola mossa di tutti i riottosi che hanno impedito di fare le riforme urgenti di cui il Paese ha bisogno. Di ritorno dalle vacanze, quando il presidente della Camera preparava il suo affondo a Mirabello, il premier comunicò ai Promotori della Libertà di Michela Brambilla che «non si sarebbe fatto logorare e non si sarebbe piegato a qualsiasi mercato avvilente», e nel caso non fosse riuscito a resistere, la strada maestra sarebbe stata «quella di ritornare davanti al giudizio del popolo». Il ricorso agli elettori è stata la bandierina che il Cavaliere ha sventolato dal giorno in cui il cofondatore ha cominciato a sfondargli i gioielli e fino al 14 dicembre, quando il Parlamento ha votato la fiducia, questa è stata la linea. Quando la Corte costituzionale ha respinto il legittimo impedimento, un interprete del pensiero berlusconiano come Alessandro Sallusti ha addirittura messo in onda un video editoriale in cui sollecitava la chiamata alle urne. Ma ventiquattro ore dopo la bocciatura della via di fuga dal processo Mills è arrivato il bunga bunga e tutto è cambiato. Il Cavaliere ha cominciato a guardare al voto come a una trappola predisposta ai suoi danni, sicché anche gli amici del Giornale hanno dovuto adeguarsi al nuovo registro. Ma qui Berlusconi sbaglia e chi lo consiglia fa peggio di lui. Chiedere agli italiani di dire la loro non può mai essere considerato una tagliola: questo lo può fare la sinistra, che si riempie la bocca con il popolo ma poi ne ha orrore. Un leader popolare come il presidente del Consiglio al contrario non ha nulla da temere. Intendiamoci: io lo capisco. Dover fare campagna elettorale con la preoccupazione di vedersi rimproverate le riunioni sotto le lenzuola anziché quelle in Consiglio dei ministri è dura, ma Berlusconi non deve farsi intimidire. Sempre meglio le scopate delle stangate che ci riserverebbero Amato e tutti gli altri della sinistra se tornassero a Palazzo Chigi. Il Cavaliere non deve vergognarsi se oltre che agli affari degli italiani si è dedicato con particolare attenzione anche a quelli delle italiane. Gli elettori comprendono e perdonano. Bastava leggere ieri l'articolo del professor Ilvo Diamanti su Repubblica per rendersene conto. Il sondaggista, pur non essendo mai tenero con Silvio, era costretto ad ammettere che la metà degli italiani è indulgente con lui. A parte un cinquanta per cento che lo detesta (ma avrebbe sentimenti eguali pure se Berlusconi avesse fatto voto di castità), un quarto degli elettori pensa che il bunga bunga sia una pura invenzione dei magistrati allo scopo di far fuori il Cavaliere, mentre un altro quarto disapprova i suoi comportamenti ma non li condanna. Insomma, quando ci sono di mezzo le questioni di letto pochi se la sentono di lanciare la prima pietra: neppure se sono del Pd, tanto che quasi il 20 % degli elettori di Bersani assolve il presidente del Consiglio. Se perfino il giornale tabloid tanto caro alla sinistra scrive che con i festini non si fa la festa a Silvio, non capisco perché il premier esiti. In questo momento non c'è nessuno che gli possa far le scarpe. Non i progressisti, che sono in coma irreversibile. Non il terzo polo, che sembra sempre più un terzo pollo. Il solo che potrebbe metterlo in difficoltà non è un concorrente, ma il timore di decidere. Evitare il voto, tirando a campare, sarebbe una iattura di cui tra qualche mese il Cavaliere potrebbe pentirsi amaramente, perché a furia di galleggiare si rischia di affogare. In tal caso non gli resterebbe che prendersela con se stesso. E con i cattivi consiglieri.