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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Non so chi abbia detto che la coerenza è la virtù degli stupidi, probabilmente un gran bugiardo, ma posso assicurare che l'incoerenza è il vizio dei furbi, i quali tra il rimanere fedeli alle proprie opinioni e imboccare la scorciatoia di ciò che per loro è più conveniente al momento,  scelgono sempre questa seconda strada. La riflessione mi è tornata in mente l'altra sera, mentre guardavo la puntata di Michele Santoro. Vedere Gianfranco Fini che, con aria compunta, reclamava il rispetto della Costituzione, tirando le orecchie al Cavaliere che alla vecchia Carta vuole mettere mano per riformarla, giuro quasi mi è venuto da ridere. Fini che difende la Costituzione? Gianfranco, il fascistello che sedici anni fa la voleva bruciare e nei comizi sosteneva ch'era morta e sepolta, ora è un ardito pronto a farsi accoppare per impedire che la si cambi di una virgola? Roba da non credere. È proprio vero che non bisogna mai fidarsi di niente e soprattutto non dare nulla per certo, figurarsi il pensiero del presidente della Camera. I politici sono delle banderuole sempre pronte ad adeguarsi a dove tira il vento, però in genere lo fanno sui minimi sistemi, tipo la legge elettorale o l'emendamento più conveniente. Sui grandi temi, per esempio la Costituzione o le riforme importanti, uno si aspetta un minimo di aderenza tra quel che si è detto nel passato e ciò che si va predicando ora, pena il rischio d'essere giudicati totalmente inaffidabili. Nel caso in questione ho però la sensazione che tutto sia fatto nella convinzione della pressoché totale impunità. Gli elettori hanno spesso la memoria corta e non si ricordano che cosa il capoccia di Futuro e Libertà predicava fino a quale tempo fa, quando ancora gli piacevano i gagliardetti. Era il periodo in cui il Duce era ancora il miglior statista del secolo e in cui il Movimento sociale prometteva di spezzare le reni ai comunisti. Allora Fini voleva licenziare tutti gli insegnanti gay e si batteva contro la trasformazione dell'Italia in una repubblica meticcia. Ogni tanto ci scappava un saluto fascista e una corona di fiori alla memoria del Crapone. Ma a forza di vedere appassire i garofani e i gigli deposti sulla tomba di Mussolini, Fini deve aver avuto il timore di appassire prima o poi anche lui. Via dunque con la giostra di dichiarazioni di questi anni, rinfrescando i propositi al punto che il suo programma sembra perfetto come leader del Partito democratico. Oppure se si vuole imboccare la strada per il Quirinale, al fine di sostituire nonno Giorgio appena questi dovrà lascare la poltrona per scadenza dei termini. Certo, sentire Fini parlare di Costituzione, di rispetto dei valori della Repubblica e della democrazia, di accoglienza nei confronti dei disperati che sbarcano in fuga dalla Libia, è difficile da mandar giù. Soprattutto se si hanno nelle orecchie i piani dell'ex segretario di An prima della svolta Fiuggi. All'epoca Gianfranco voleva abolire tutti i partiti, puntando sulla democrazia diretta del popolo, più o meno alla stregua di Gheddafi, che in Libia li ha chiusi insieme con il parlamento. A lui piaceva una camera delle corporazioni. Non credendo che quella italiana fosse una democrazia  autentica, l'attuale presidente di Montecitorio voleva che le leggi fossero affidate alle categorie. Appena tre anni prima di dar vita al primo governo di centrodestra, Fini esaltava il progetto missino di Nuova Repubblica d'origine almirantiana: «Qualcosa di assolutamente originale, in grado di superare il “vizio d'origine” della Costituzione: la partecipazione  delegata ai partiti». Apprezzava talmente il sistema di cui oggi si erge paladino da preferirgli la monarchia, giudicata più capace di tener unita l'Italia. Ve l'immaginate cosa sarebbe il nostro paese se sedici o diciassette anni fa avesse dato retta a Fini? E ora lo stesso signore dà lezioni di rispetto della costituzione e di equilibrio istituzionale? Ma va là...

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