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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Che Gianfranco Fini consideri la Rai come un affare di famiglia e ne disponga a piacimento quasi si trattasse del suo ufficio stampa non è un fatto nuovo. Mesi fa, proprio su Libero, un dirigente della tv pubblica colpevole di non essersi piegato ai voleri del presidente della Camera raccontò nei dettagli il trattamento subìto. Essendosi opposto alla concessione di contratti televisivi al cognato del capoccia di Futuro e Libertà, fu messo da parte come un appestato e l'annunciata promozione sfumò, mentre Giancarlo Tulliani ottenne ciò che chiedeva. Ma se non è una gran notizia che l'inquilino di Montecitorio coltivi i suoi interessi, e forse anche qualcosa di più, dentro viale Mazzini, lo è invece l'occupazione di tutti i programmi di approfondimento praticata dal leader futurista nelle ultime settimane.  Santoro, Annunziata, Vespa: non c'è stato salotto televisivo che Fini si sia fatto mancare. Senza contare poi che dove non ci ha messo la faccia lui, ce l'hanno messa i suoi tirapiedi, a cominciare da quell'Italo Bocchino che ne fa le veci. Perché questo eccesso di presenzialismo? mi sono chiesto. Escludo che a tutti  i conduttori  Rai sia venuta la fregola di  sapere quel che pensa il presidente della Camera e poi, anche se così fosse, ognuno di loro se la sarebbe fatta passare appena avuta notizia della presenza di Fini quasi in contemporanea in un altro programma della stessa azienda. Dunque non rimane che una risposta: a Gianfranco hanno finalmente portato i veri dati sulle intenzioni di voto degli italiani e quindi avendo preso atto che il suo partito è in caduta libera, l'ex cofondatore ha reagito occupando tv e giornali, nella speranza di risollevarlo dal baratro in cui sta sprofondando. Per mesi si è cullato all'idea di avere un grande futuro davanti a sé. Coccolato dai giornali progressisti e dai partiti della sinistra che vedevano in lui l'uomo della provvidenza il quale li avrebbe finalmente liberati di Berlusconi, Fini si era davvero convinto di avere alle sue spalle milioni di elettori pronti ad acclamarlo leader. Una volta fallita la spallata e persi parecchi pezzi della sua vincibile armata, ora che perfino l'organo su cui faceva affidamento per diffondere il verbo futurista sta per chiudere, al presidente della Camera non è rimasto dunque che alzare il volume della televisione pubblica, sperando di farsi notare il più possibile, affinché la gente non si dimentichi di lui. Oddio, intendiamoci, non è che in altri  tempi a Gianfranco sia mancata la ribalta. Da quando si è messo contro il Cavaliere, Santoro e compagni hanno fatto da megafono a ogni suo sospiro, al punto che in alcuni programmi  il Fli ha avuto quasi più spazio del Pd, di sicuro maggiore di quanto sia toccato alla Lega o all'Italia dei valori. Il che, se non giustifica, almeno spiega l'idiozia delle targhe alterne in video proposta ieri da alcuni esponenti del  partito di Berlusconi. Visto che ormai la tv pubblica è diventata terreno di scontro politico e le puntate di approfondimento (come  quelle di intrattenimento) sono cannoni puntati contro il governo, almeno imponiamo la rotazione dell'artiglieria: nei giorni dispari si spara contro Palazzo Chigi, in quelli pari le bocche di fuoco sono orientate a sua difesa. Non è una grande idea, anzi personalmente la giudico  una bischerata, ma dimostra il livello cui si è giunti o per lo meno cui è sprofondata quella che ama definirsi informazione libera o servizio pubblico, il quale, comunque lo si chiami, ha l'obiettivo di fare un servizietto  a Silvio, mandandolo a scopare il mare prima possibile. Purtroppo per Fini, per i suoi cantori televisivi e per un buon numero di magistrati che li sostengono, il Cavaliere resta in sella e non è detto che sia per poco.  A dirlo non sono io, ma Renato Mannheimer, il sondaggista di fiducia del Corriere e di Vespa, il quale al quotidiano online Affari Italiani ha raccontato i risultati di una sua recente rilevazione: due italiani su tre non vogliono le dimissioni di Berlusconi come reclamano il Pd e il signor no di Montecitorio.  Anche  se il presidente della Camera si facesse intervistare ogni sera a reti e giornali unificati, convincere quel sessanta-settanta per cento di  elettori che, mandato via Silvio, tutti i guai dell'Italia sarebbero risolti sarà difficile. Comunque, se ci vuol provare, si accomodi.

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