L'editoriale
di Vittorio Feltri
Gianfranco Fini si prepara a fare un altro mestiere, visto che con il suo Fli rischia di non andare molto lontano. Probabilmente aspira a diventare conduttore di programmi televisivi. Lo deduciamo dal fatto che egli, da qualche tempo, dimora nelle sedi delle più importanti antenne italiane. Come accendi il teleschermo, lui appare in tutto il suo splendore. Parla e straparla, e lo fa con l'abilità che universalmente gli viene riconosciuta. Fini - e scusate il bisticcio - è un fine dicitore. Se si tratta di esprimere concetti banali, non c'è nessuno al mondo che li dica meglio di lui. Ieri sera Gianfranco era a Porta a Porta e, ovviamente senza contraddittorio, ha esternato il suo pensiero indovinate su chi? Silvio Berlusconi. Che sta sulle balle a mezzo mondo, quel mezzo ossessionato dal Cavaliere e animato da un solo proposito: eliminarlo, senza sapere come. Cosa ha rivelato Fini a Bruno Vespa? Primo. «Il presidente del Consiglio non è Berlusconi, ma Umberto Bossi». Il quale Bossi, «da quando non ci sono più io a contrastarlo, è diventato il dominus della maggioranza». Osservazione interessante. Se fosse anche fondata, non si comprenderebbe perché Fini ce l'abbia con Silvio anziché con Umberto. In effetti, se uno ce l'ha con Tizio, logica vorrebbe che se la prendesse con Tizio e non con Caio. Gianfranco invece fa il contrario: picchia la moglie affinché suocera intenda. E lui di suocere si intende. Secondo. Afferma Fini: «Berlusconi non ha dimestichezza con il dissenso». E questo è vero. «Se qualcuno lo contraddice gli scatta la sindrome del complotto». Il capo di Fli aggiunge: «Quando tra cent'anni Berlusconi sarà uscito di scena, la destra ci sarà ancora». Vero anche questo. La destra ci sarà ancora, ma non sarà rappresentata da Fini dato che ormai lui non è più un camerata bensì un compagno. Ciò dimostra a quale punto di decadenza sia giunta la sinistra, e spiega perché i progressisti non siano in grado di battere il Cavaliere. Se il partito erede del Pci si riduce a confidare in un ex fascista per destituire il premier, vuol dire che è da rottamare, come suggerisce Renzi, sindaco di Firenze. Terzo. Il presidente della Camera dichiara poi che non voterà sul conflitto di attribuzione (caso Ruby). Capirai che atto eroico. Pur di non mollare la poltrona di Montecitorio, Fini riesce perfino a comportarsi correttamente. Ma ignora che un capopopolo, quale lui ormai è, dovrebbe rinunciare a qualsiasi ruolo istituzionale. Quarto. Sulla casa di Montecarlo, ceduta da An al signor cognato, Gianfranco glissa, dimenticandosi di aver sostenuto pubblicamente che si sarebbe dimesso qualora fosse stato accertato che l'immobile è stato sbolognato a Tulliani. Fini ha cambiato idea? Sì. E si è rimangiato la parola. Ora lascia che sia la magistratura a decidere se quell'appartamento, venduto sottocosto, meriti o no la prosecuzione dell'indagine. Il presidente, in sostanza, finge di ignorare che il problema non è giudiziario, ma di stile. Può un leader agevolare il cognato nell'acquisto di un pied-à-terre di lusso valutato un quarto del suo prezzo? Quinto. Fini conclude così la intervista rilasciata a Vespa: «Spero che nell'agenda del governo ci siano quanto prima i problemi degli italiani: il Mezzogiorno, cioè la condizione meridionale, un piano di rilancio dell'occupazione giovanile, l'inflazione e il fatto che solo una donna su due ha un lavoro». Però, che idee. Segnaliamo a Fini che da sessanta anni in qua la questione meridionale, l'occupazione giovanile e femminile eccetera figurano nel programma di qualsiasi governo, ma che nessun governo - compresi quelli di cui lui ha fatto parte - ha mai combinato un tubo, pur avendo sprecato miliardi regolarmente cascati a pioggia nelle tasche delle mafie. Ci voleva Fini a rammentare che il Sud è un'idrovora condannata a crepare di sete.