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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Caro onorevole D'Alema, sebbene tra noi  non corra buon sangue e anzi siano in corso alcune querele sulle quali dovrà pronunciarsi il tribunale, mi permetto di rivolgerle un appello in nome di una causa che reputo importante e di comune interesse. Lei, com'è unanimemente riconosciuto a destra e a sinistra, è uomo intelligente anche se spigoloso di carattere e nel Pd è tra i pochi a godere di peso e autorevolezza oltre a disporre di un certo seguito tra dirigenti e parlamentari. In altri tempi l'avrei definita l'uomo forte del partito, ma oggi tutti i partiti, il suo in particolare, sono debolissimi e spesso sottomessi agli umori dell'opinione pubblica, dunque ondivaghi e di leadership incerta. Eppure anche in una stagione simile lei resta un punto di riferimento e per questo motivo mi sono deciso  a interpellarla. La questione che mi sta a cuore è la giustizia. Come lei sa oggi il governo presenterà il suo progetto di riforma e alcuni magistrati hanno già aperto un fuoco preventivo di sbarramento, con l'intenzione di far naufragare questa legge esattamente come sono riusciti a fare con le precedenti È dagli anni Cinquanta che Parlamenti ed esecutivi cercano un rimedio alle lentezze del settore, ma sono sessant'anni che le toghe vi si oppongono in maniera strenua, nascondendosi dietro il paravento dell'autonomia e dell'obbligatorietà dell'azione penale. Il tema negli ultimi anni, cioè da quando è sceso in politica Silvio Berlusconi, per di più è diventato oggetto di un'aspra battaglia politica e la parte che lei rappresenta quasi sempre ha difeso a occhi chiusi i giudici, in una specie di gioco delle parti che obbliga la sinistra a schierarsi contro qualsiasi cosa dica la destra e viceversa. Si dà il caso che però io sappia cosa lei pensa della questione. A differenza delle posizioni ufficiali del suo partito, lei da tempo ritiene che si debba fare una riforma degna del nome, la quale oltre a far funzionare più speditamente i processi dovrà rimettere i pm al loro posto, evitando interferenze con la politica come invece succede da quasi vent'anni. Lo so, in pubblico non lo ammetterà mai e forse giungerà al punto di smentire con apposito comunicato, ma parlano per lei gli atti della commissione bicamerale che presiedette quindici anni fa. Il capitolo sulla giustizia di cui fu relatore l'ex lottacontinuista Marco Boato è più radicale perfino della riforma che Alfano si accinge a presentare. Il Consiglio superiore diviso in due, uno per i giudici e l'altro per i pm. Gli organi di governo divisi in sei, ognuno con specifiche competenze. La formazione delle toghe affidata al ministero. I laici, cioè i non  magistrati, in maggioranza dentro il Csm. L'azione disciplinare obbligatoria contro le toghe che sgarrano. Una Corte di giustizia della magistratura con un procuratore generale eletto dal Senato. Obbligo di riservatezza per giudici e pubblici ministeri pena provvedimenti. Divieto assoluto per il Consiglio superiore di occuparsi di temi politici. Che a lei, onorevole D'Alema, la bozza Boato non dispiacesse è dimostrato dalle sue posizioni iniziali, quando di fronte alle prime critiche scandalizzate dei filo giustizialisti reagì dicendo che intravedeva «troppa eccitazione sul tema del rapporto tra laici e togati», sostenendo che un riequilibrio della composizione del Csm non poteva essere visto come un «elemento punitivo» dei giudici. Che poi lei fosse d'accordo con quanto stava preparando il collega della sua maggioranza risulta anche dalle dichiarazione con cui, nel pieno della discussione sulle modifiche da apportare alla Costituzione, ribadì che la magistratura sarebbe stata uno dei temi che più avrebbero impegnato la commissione da lei presieduta. Insomma, com'è nel suo stile e nel suo carattere, toccasse a lei il problema della giustizia lo risolverebbe in modo tranchant, con provvedimenti netti atti a tagliare le unghie ai giudici. Il problema è che non c'è solo lei, ma anche una parte del suo partito abituata a civettare con le toghe, oltre a una parte del suo elettorato che i pm li ama alla follia perché li ritiene i soli in grado di regalarvi una vittoria. È  questa considerazione che anche allora, quando mise mano alla questione, poi la spinse a rimangiarsi alcuni degli elementi chiave delle misure concordate nella Bicamerale, compresa la divisione del Csm. Ora ciò che io le chiedo è di aver coraggio. Smetta di calcolare la convenienza immediata e di assecondare la frangia giustizialista del Pd e i girotondini, i quali sperano di liberarsi di Berlusconi tramite la magistratura. Faccia ciò che le ispirano i suoi convincimenti in materia e dia il via libera a una riforma degna d'essere definita tale. Non servirebbe molto, basterebbe riprendere il testo messo a punto proprio da Boato ed aggiornarlo là dove è necessario. Magari le costerà qualche fischio da parte dei Marco Travaglio di turno, ma son cose che passano.   Se lo farà, se ascolterà il mio appello, lei dimostrerà di non essere un navigatore degli umori più beceri, ma un politico con i piedi piantati per terra. Insomma, caro D'Alema, scenda dalla barca: più che di uno skipper abbiamo bisogno di uno statista e lei, giunto ai sessant'anni, è ancora in grado di diventarlo.

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