L'editoriale
di Vittorio Feltri
Continuiamo a non capire i motivi della guerra in corso di cui vediamo soltanto i rischi. Da alcuni mesi il Medioriente e il Nordafrica sono in crisi a causa di sollevazioni popolari contro regimi autoritari, e l'Occidente è stato a guardare con preoccupazione ma senza intervenire, forse timoroso di essere accusato di ingerenza nelle questioni interne di Paesi sovrani. In effetti non si può infilare il becco in casa d'altri se non in circostanze particolarmente gravi. A un dato momento anche la Libia è stata contagiata dal ribellismo dilagante e immediatamente l'Europa e gli Stati Uniti hanno alzato la testa, mostrando un interesse per le proteste anti-Gheddafi che non avevano per nulla manifestato in occasione di precedenti analoghi fermenti in altre zone. Tunisia e Egitto si sono arrangiati per conto proprio. Nello Yemen e in Sudan ci si scanna in piazza nell'indifferenza generale. Altrove - Birmania e Tibet, per fare due esempi - scorre sangue da anni senza che nessuno nel cosiddetto Mondo civile si stracci le vesti. Chissà perché, invece, i fatti libici hanno suscitato morbosa attenzione e alimentato la smania di Sarkozy e di Obama (per non parlare dell'Inghilterra e dell'Italia) di tuffarsi nella mischia. Specialmente negli ultimi giorni è cresciuta la voglia di menare le mani. Cos'hanno di speciale la Tripolitania e la Cirenaica per indurre l'Occidente a mobilitarsi militarmente? D'accordo. Gheddafi è un individuo abietto, ignobile. Un tiranno spietato che ritiene la democrazia una debolezza borghese. Col quale tuttavia vari governanti italiani (Berlusconi incluso), e non solo italiani, hanno trattato e talvolta stretto rapporti di amicizia imbarazzanti. Perché? Perché si fa. Perché gli affari sono affari. Perché la Libia è adagiata su un mare di petrolio e conviene tenersela buona. Comprendiamo. Non siamo insensibili a superiori esigenze di realpolitik. Sta di fatto che fino ieri il beduino veniva accolto con ogni onore anche a Roma; e lui ricambiava le cortesie impedendo che dalla sua terra partissero, per venire in Italia, orde di poveracci in cerca di fortuna. Vogliamo dimenticare tutto ciò? Ok. Dimentichiamo. Nella nostra storia i voltafaccia costituiscono un filo conduttore. Prendiamo atto che l'imperativo categorico è abbattere il raìs a costo di sparacchiare. Ma preghiamo chi punta ad abbatterlo di non prenderci in giro e dire che non lo fa per spirito umanitario, per consegnare la Libia a giovani democratici. Laggiù non ci sono giovani democratici da aiutare, ma solo tribù ostili al Colonnello al quale intendono sostituirsi adottandone gli stessi sistemi illiberali e violenti. In passato siamo stati imbrogliati: ricordate la favoletta che bisognava esportare la democrazia in Afghanistan e in Iraq? Ci credemmo anche noi. Poi si è visto come è andata. Al tempo gli eserciti se non altro si mossero a seguito di una tragica provocazione: l'attacco alle Torri gemelle, migliaia di morti ammazzati dai terroristi islamici in aereo. La reazione degli Usa aveva un senso, quello di dimostrare agli assassini capeggiati da Bin Laden che l'America e i suoi alleati non cedevano al terrore, ma pretendevano di riaffermare i valori della civiltà occidentale. Nel suo piccolo l'Italia dette il proprio contributo, nonostante che la sinistra e numerosi pacifisti (anche cattolici) si fossero schierati apertamente con Saddam (e contro Bush), organizzando cortei, comizi, esposizione di bandiere della pace alle finestre. Ci piaceva l'idea per quanto ingenua di esportare la democrazia in Iraq, sacrificando il despota. Il piano è semifallito. Ma allora c'era almeno un piano. Oggi si va in Libia col proposito di cacciare Gheddafi e di appoggiare i suoi oppositori, fingendo di ignorare che questi non sono affatto migliori di lui. Si va in Libia senza nemmeno inventarsi un pretesto per bombardare tranne quello - ipocrita - di soccorrere le tribù che ambiscono a decapitare un dittatore per mettercene un altro, probabilmente della medesima risma. Difatti dei ribelli si sa poco o nulla. Si sa però che tra loro c'è una parte preponderante di fondamentalisti islamici, i cosiddetti Fratelli musulmani, presumibilmente collegati al terrorismo, le cui prodezze sono abbastanza note. L'ipotesi dunque è che si faccia il gioco di gente che, conquistato il potere grazie al nostro sostegno, lo userà contro di noi. Una vera follia. Ci stiamo prestando a una operazione che, oltre ad essere pericolosa, non lascia intravedere alcun vantaggio eccetto quello di affiancarci alla Francia, all'Inghilterra e agli Stati Uniti nell'illusione di entrare nel club dei forzuti. Ciò che stupisce è il silenzio-assenso dei pacifisti nostrani e del Partito democratico, gli stessi che nove anni orsono erano attivamente contrari alla guerra in Iraq. Forse subiscono il fascino dell'ex comunista Giorgio Napolitano che si è dichiarato favorevole all'opzione bellica, spiazzando i compagni. È un mistero. Aggredire Saddam Hussein era peccato, stecchire Gheddafi è cosa buona e giusta. Traspare molta faciloneria dalla scelta interventistica italiana. Ci si fida di chi dice che la Libia non dispone di armamenti idonei a colpire il nostro Paese. Ma se trent'anni fa ci piovve in testa un missile lanciato dal Colonnello per farci intendere che non scherzava, perché dovremmo pensare che oggi - dato il progresso tecnologico di cui gode anche il Terzo Mondo - l'eventualità di un bis sia da scartare? Ci prendono per scemi? Gheddafi ce l'ha giurata. Si batterà sino alla morte e, prima di morire, ce la farà pagare. Alludiamo ad azioni terroristiche. Certe minacce non vanno sottovalutate, soprattutto pensando a quanto accaduto in passato. Abbiamo che fare con un uomo pessimo, ma di parola. Non si tiene poi in considerazione che la guerra non sarà una passeggiata, durerà mesi, anni; e si ignora come finirà. Forse i belligeranti giungeranno a un compromesso: la creazione di due staterelli, la Tripolitania (sotto Gheddafi) e la Cirenaica (con un nuovo regime, di sicuro non democratico). Insomma non scordiamoci delle esperienze: il Vietnam sembrava dovesse essere mangiato in un boccone, l'Afghanistan è ancora sotto l'incubo dei talebani, l'Iraq è un campo di battaglia. Non si capisce perché Berlusconi e il suo governo si siano infilati in questo vicolo cieco. I sondaggi parlano chiaro: gli italiani sono sconcertati, esigono spiegazioni. Si può trascinare in guerra un Paese evitando di dire ai cittadini perché? Già. Perché? Da tre mesi si dibatte su Ruby e la Minetti, poi si va in battaglia nel deserto senza dire una parola.