Cerca
Cerca
+

L'editoriale

default_image

di Maurizio Belpietro

domenico d'alessandro
  • a
  • a
  • a

Oggi Mario Cervi compie novant'anni, anniversario che, sono certo, festeggerà in redazione con un brindisi e un articolo. Per quel che ne so, tranne le estati che fino a prima della morte della moglie trascorreva in Grecia, ma sempre con il telefono e la macchina da scrivere a portata di mano, Mario non è mai mancato un giorno all'appuntamento con il suo Giornale. Quando ancora i colleghi dormono, fino a qualche anno fa tenendo al guinzaglio Golia o Gilda, una coppia di barboncini dai quali non si separava mai, lui è tra i primi a varcare il portone d'ingresso e se serve uno degli ultimi a uscirne. Credo che sia una specie di esercizio ginnico consigliatogli dal cardiologo: una passeggiata e un editoriale al giorno per togliere il medico di torno, abitudine che evidentemente ha funzionato, consentendogli di rimanere lucido e vivace. Come avrete già capito, a Cervi mi legano stima e affetto. Con Mario ho infatti iniziato la mia avventura di direttore de il Giornale quando Feltri lasciò il quotidiano di via Negri. Pur essendone già stato il condirettore, ero giudicato troppo giovane per riuscire a guidare una testata di tale prestigio, sicché mi fu proposto di fare coppia con un collega di maggior esperienza. Idea che accolsi con scetticismo, convinto che i tandem in redazione non funzionassero in quanto il volante dev'essere tenuto da un guidatore solo, altrimenti si rischia di andare a sbattere. Per questo il direttore di un giornale è paragonato a un generale, nel senso che non condivide il comando con altri, nemmeno con l'editore. Con Cervi invece andò a meraviglia: lui direttore responsabile, io operativo. Nonostante la differenza d'età e la diversità di esperienza, gli anni filarono via lisci, senza uno screzio o una discussione. In realtà, io e lui facevamo già coppia prima di quella nomina, cioè da quando, tornato dalla direzione del Tempo,  fui sistemato in un ufficio al terzo piano del Giornale. Cervi stava nella stanza accanto, ma la condivideva con un collega che detestava i suoi cani. Fu per quella ragione, per non sentirne più i rimbrotti, che Mario un giorno mi chiese il permesso di traslocare da me. Lo fece con il garbo che gli è solito e non feci alcuna fatica ad acconsentire, anche perché, come lui, adoro gli animali forse più degli umani. Fu così che cominciai a conoscerlo meglio di quanto avessi fatto fino ad allora, apprezzando i racconti di una carriera e le sue testimonianze. Di lui si può dire che è uno dei pochi giornalisti viventi in grado di narrare i grandi eventi del Novecento. Guerre, dittatori, disastri: non ce n'è uno che lui si sia perso. Dall'invasione di Grecia, cui partecipò indossando la divisa di sottotenente, al conflitto arabo-israeliano. Dal maremoto in Bangladesh al colpo di stato cileno. Altri tempi. Allora le bombe erano vere e fischiavano sulla testa degli inviati, i quali non stavano in albergo ma al fronte. Adesso le guerre si guardano in tv e al massimo quel che si vede sono le traiettorie luminose di missili sparati a un centinaio di chilometri di distanza. Come nei videogame. Nella sua lunga carriera Mario ha lavorato fianco a fianco con i più grandi giornalisti e da molti ha imparato il mestiere. Del suo rapporto con Montanelli si sa: i 13 volumi della Storia d'Italia sono firmati a quattro mani, anche se in realtà a scriverli è stato il meno noto, mentre Indro si è limitato a inserire le battute da toscanaccio di Fucecchio. Al Corriere, nei quasi trent'anni che vi ha trascorso, Cervi ha conosciuto pure Buzzati, Montale, Piovene e tanti altri. Al Giornale, negli altri trent'anni di carriera, ha incontrato il resto. Certamente, pochi fra i colleghi possono vantare un simile curriculum. Fu per questo che anni fa, quando lasciò la direzione responsabile del Giornale, lo proposi per il prestigioso premio alla carriera di Saint Vincent: morto Montanelli e già segnalati i Biagi e i Bocca, mi pareva che nessun altro avesse titolo più di lui di ricevere il riconoscimento sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica. Al contrario, un giurato mi obiettò che non era degno del titolo giacché in passato, da direttore, aveva fatto uscire il giornale nonostante uno sciopero, rompendo il fronte della categoria. In quell'occasione mi fu chiaro che i premi non sono alla carriera, ma alla carriera sindacale. Chi non è di sinistra e non segue le direttive della Fnsi non può ambire a essere gratificato con la qualifica di bravo giornalista, ma deve rimanere ai margini, confinato in un limbo professionale da cui potrà uscire solo dopo lunga penitenza e ammissione dei propri errori.  Ecco, è anche per questo che festeggio i novant'anni di Cervi. Perché per tutti i lunghi anni della sua carriera ha preferito restare nel limbo piuttosto che rinunciare alle proprie idee. E questo merita un brindisi. Auguri Mario.

Dai blog