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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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Per Silvio Berlusconi è sempre guerra. Bombe dappertutto, non soltanto in Libia. Domani, lunedì, in un'aula di Tribunale a Milano cominceranno altri bombardamenti, e lui sarà sotto il fuoco. Sono tanti i processi a suo carico, se n'è perso perfino il conto. Bisognerebbe forse ricordare anche quelli passati, numerosi, da cui è uscito indenne, ma ci vorrebbe un giornale intero per elencarli. Accontentiamoci quindi del presente e cerchiamo di immaginare il futuro, il suo. Gli italiani ormai si sono persuasi che il Cavaliere sia invulnerabile e riesca sempre a farla franca, e anche noi siamo di questa idea. Più cercano di buttarlo giù, più lui si tira su. Ma stavolta abbiamo l'impressione che i suoi avversari siano determinati e dispongano di armi potenti. Perdonino i lettori se in questo articolo ci affidiamo maggiormente a sensazioni personali che a notizie ufficiali. I fatti, d'altronde, sono abbastanza noti e non vale la pena di ricostruirli. Preferiamo guardare oltre nel tentativo di capire quale sia l'obiettivo finale degli antiberlusconiani. Chi legge dirà: vogliono eliminarlo dalla scena nella speranza che, senza lui tra i piedi, sia facile per la sinistra vincere eventuali elezioni, stante la precarietà del Pdl che si regge sulla straordinaria capacità del leader di raccattare voti. È così. Ma secondo noi le ambizioni dei progressisti sono più alte. Parecchi anni fa Massimo D'Alema si lasciò sfuggire una battuta di dubbio gusto: ridurremo in miseria Berlusconi, lo costringeremo a chiedere l'elemosina davanti alle chiese. Una guasconata? In apparenza, sì. Invece era un programma. Un programma difficile da realizzare in fretta, ma a forza di colpi bassi, di inchieste, sputtanamenti, scandali e mignottate non impossibile da portare a termine. Ecco. Ci siamo. La mela è matura e si tratta soltanto di saperla cogliere. Il premier è stato lavorato ai fianchi. Ha resistito. Ha reagito. Ha vinto tre consultazioni politiche. È ancora combattivo. Ma chiunque si è accorto che in questo momento è accerchiato. La prima botta micidiale gli è stata inferta dalla moglie Veronica con la famosa, o famigerata, lettera pubblicata da la Repubblica in cui la signora accusava Silvio di ogni nefandezza: è malato, si circonda di ciarpame umano, va con le minorenni. Insomma, è un vecchio porco. Non era mai accaduto che una donna in lite col marito si sfogasse, anziché col medesimo o col confessore o con l'avvocato, sul quotidiano “nemico” del proprio coniuge. Un caso più unico che raro. Figuriamoci i commenti, le speculazioni. Si creò intorno a Palazzo Chigi un clima irrespirabile, e Silvio dovette in qualche modo respingere gli assalti di chi pensava di fargli la festa. Lo fece maldestramente, ma riuscì a stare in piedi perché l'opposizione, ancora stordita dalla sconfitta alle urne, non seppe approfittare della circostanza favorevole. Le acque non si calmarono. Seguirono infatti le beghe tra il Cavaliere e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, lo scandalo della Protezione civile (Bertolaso strapazzato, ruberie vere o presunte di vari funzionari, appalti discutibili), l'incidente un po' ridicolo delle liste elettorali non in regola, la Polverini che lottò per la Regione senza l'ausilio del simbolo Pdl. E ora, scavalcando piccoli e grandi incidenti (il caso Brancher, per esempio), è arrivata pure la guerra alla Libia. Ma le faccende politiche e sessuali, per quanto odiose, sono nulla in confronto a quelle finanziarie che si profilano all'orizzonte. Mi riferisco ai processi in cui Berlusconi rischia di sacrificare il portafogli. Sì, d'accordo, c'è pure la pochade di Ruby Rubacuori, della quale si è occupata con toni sarcastici la stampa di mezzo mondo, ma questo è folclore, un campo in cui Berlusconi se la cava egregiamente. Il problema, ripeto, è la grana. Agli inizi di aprile, proprio in coincidenza con l'apertura delle udienze sul bunga bunga, si conoscerà l'esito del ricorso circa la sentenza del mitico giudice Misiano sul Lodo Mondadori: oltre 700 milioni di euro a carico di Silvio. Le voci girano e si dice che in “appello” la cifra verrà ridotta: da 700 a 400 milioni. È già qualcosa, ma la somma da sborsare sull'unghia è comunque alta. Naturalmente, Berlusconi, essendo ricco, troverà il denaro da versare a Carlo De Benedetti. Ma non sarà contento. Soprattutto perché la spremitura delle sue tasche non finirà qui. Altri giudizi pendenti - Fisco, Mediaset, diritti e contorni - comporteranno, qualora finissero male, oneri di rara pesantezza. Si parla di centinaia di milioni di euro. E non esiste patrimonio, per quanto ingente, in grado di sopportare simili salassi. Facciamola breve. Dato che la magistratura, a torto o a ragione, si sente tampinata dal presidente del Consiglio, fautore di una riforma della Giustizia considerata punitiva dalle toghe, non è azzardato ipotizzare per Silvio un trattamento speciale in senso negativo. Tutto ciò concorre a tracciare un quadro assai fosco, anche perché bisogna aggiungere il procedimento relativo alla vicenda Mills che, a naso, sarà un disastro perché offrirà il destro ai detrattori del premier per promuovere ulteriori campagne denigratorie. Ma torniamo alla questione centrale: i quattrini. Se i giudici useranno la mannaia, e si suppone l'abbiano affilata a puntino, Berlusconi sarà chiamato nell'arco di poco tempo a sganciare somme pazzesche: 400 milioni a De Benedetti, come detto, e multe pazzesche del Fisco per un totale sbalorditivo. Così fosse, tanto per capirci, egli sarebbe obbligato a cacciare qualcosa come un miliardo di euro, magari di più, perché la discrezione dei magistrati è ampia e se ne ignorano i limiti. In questa eventualità, il Cavaliere per saldare il debito dovrebbe prelevare il valente dalle sue aziende. Una parola. Quale azienda dispone di una tale quantità di liquidi? Nessuna. Pertanto si presenterebbe la necessità di cedere alla svelta tutto l'impero, o parte di esso, per fronteggiare gli impegni. C'è però una legge che vieta la vendita sino al termine dell'iter processuale. Quindi? In attesa, l'impresa può essere sequestrata (sinonimo di espropriata). Dopo di che si giungerebbe a una svendita che farebbe la felicità dei soliti furbetti che, pagando poco, si papperebbero l'intero piatto. E così si avvererebbe il sogno, o meglio la profezia, di Massimo D'Alema: un Berlusconi espulso dalla politica e privato di ogni bene. Non sarebbe la prima volta che accade un fatto simile: ne sa qualcosa Angelo Rizzoli che fu spogliato di tutto, compreso il gioiello Corriere della Sera, e chiuso in carcere salvo - a distanza di quasi un quarto di secolo - essere assolto in quanto innocente. Non auguriamo certamente a Berlusconi di cadere in un trappolone del genere; semplicemente, desideriamo avvertirlo che il pericolo c'è. I nostri sono solo cattivi pensieri? Lui faccia in modo che non diventino realtà.

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