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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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Il lettore sa, o almeno intuisce, che il mondo della finanza (e dell'imprenditoria) è contiguo a quello della politica, e che l'uno influenza l'altro e viceversa. Potere economico e potere politico oggi però sono costretti a fare i conti con un altro potere fortissimo, la magistratura. Ecco perché la destituzione di Cesare Geronzi, banchiere di fama, dal vertice delle Assicurazioni Generali ha scatenato il finimondo: cosa c'è sotto, cosa c'è sopra, cosa c'è dietro e cosa davanti? I commentatori si sono sbizzarriti nelle interpretazioni e ciascuno di essi ha detto il vero, ma non tutta la verità, sempre difficile da accertarsi. Noi di Libero non pretendiamo di illuminare il lettore. Ci mancherebbe. Siamo ragazzi di bottega giornalistica e niente più. Poiché però non abbiamo ricchezze a sufficienza per contare nella cripta segreta del capitalismo italiota, siamo abbastanza distaccati per leggere i fatti in prospettiva. Insomma, non ci preme tanto indagare sui motivi tecnici che hanno determinato la svolta quanto comprendere cosa c'è dietro l'angolo. Prima di affrontare il tema, sono d'obbligo alcune premesse. L'aria che tira non è favorevole a Silvio Berlusconi e il perché è noto a chiunque non viva su Marte: il premier è impegnato in quattro processi in cui, se non rischia di lasciarci le penne (non è tipo da farsi spennare in silenzio), perderà un po' di soldi e almeno mezza faccia; governa supportato da una coalizione indebolita dall'uscita dei finiani (non compensata dai nuovi arrivati); la situazione italiana non è drammatica, ma neppure buona; inoltre è in corso una guerra assurda che comporta un'immigrazione fuori controllo. Ho citato solo alcuni elementi che minano il patrimonio di consensi che il Cavaliere ha avuto fin dal momento in cui si è dato alla politica (1993). Il successo di Silvio, per essere sintetici, ha raggiunto il massimo nel 2008 quando il Pdl e la Lega vinsero le elezioni con un forte distacco sugli avversari. Dopo di che, fatalmente, vuoi per una ragione, vuoi per un'altra (non ultima la pochade Ruby che si trascina da mesi con effetti tediosi), la parabola berlusconiana ha cominciato a scendere. Non si può parlare ancora di declino inesorabile, ma è evidente che il massimo fulgore è destinato a diventare minimo nei prossimi mesi, a meno che accadano fatti traumatici e imprevedibili. Il quadro che abbiamo tracciato giustifica la mobilitazione dei maggiori capitalisti italiani, al solito preoccupati di mantenere le posizioni e, se del caso, migliorarle. Berlusconi è in difficoltà? Loro pensano al dopo. Ci si può fidare di Bersani, della Bindi, di Franceschini e gente simile? Nossignori. Conviene sparigliare. Come? Così. Cesare Geronzi rappresenta - secondo i cinquantenni danarosi - il passato. Tra l'altro egli è legato a Berlusconi, che salvò quotandogli vantaggiosamente in Borsa le aziende televisive. Farlo secco è un segnale per tutti, l'inizio del ricambio generazionale in ogni settore nevralgico. Diamo per scontato che il banchiere non si rassegni. Continuerà la sua battaglia in Mediobanca dove ha molte carte (un armadio pieno) da giocare. Comunque il primo attacco dei giovani (si fa per dire) è andato a segno ed è lecito avanzare ipotesi sugli scenari che si profilerebbero, qualora i loro progetti si realizzassero fino alla totale messa in mora di Geronzi. Intanto, muterebbero gli assetti proprietari del Corriere della Sera e, di conseguenza, la linea editoriale del medesimo. La7, emittente ben guidata da Enrico Mentana, si affiancherebbe al quotidiano.  La Stampa di Torino, tradizionalmente sensibile agli umori dominanti lassù in alto, si adeguerebbe. Il Messaggero di Caltagirone, con i vari satelliti cartacei (Mattino di Napoli e Gazzettino di Venezia), è già lì a disposizione. È chiaro che grazie alle citate bocche di fuoco, i nuovi padroni del vapore sarebbero agevolati nel sostenere un candidato a Palazzo Chigi. Si intende un candidato del loro giro, un volto rassicurante, una persona in grado di coagulare voti applicando gli stessi schemi inventati dal Cavaliere, che in tre mesi varò un partito e sconfisse la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto. Chi? Ovvio. Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente Fiat, ex presidente di Confindustria e presidente della Ferrari auto. Si obietterà: ma lui è un generale senza esercito, come può battere avversari esperti e organizzati in partiti? Col denaro si fa tutto in fretta, anche un esercito. E il club capitalistico nazionale è privo di tante cose, ma non di quattrini. In più, disponendo di giornali e di una tivù piccola ma di moda come La7, Montezemolo non partirebbe male. Dicevo che attualmente nel nostro Paese hanno un peso enorme i magistrati. Bisogna ingraziarseli. Ne sa qualcosa Berlusconi che, avendoli contro, campa da cani. Il nuovo soggetto politico, anche solo per il fatto di costituire un'alternativa al premier, si avvarrà della simpatia delle toghe. Ricapitolando. Un Montezemolo scelto da signori imbottiti di euro, spinto da stampa e tv e aiutato dai giudici (pronti a colpire il Pdl come colpirono la Dc, il Psi, il Psdi, il Pli e il Pri all'epoca di Tangentopoli), in poco tempo assumerebbe le caratteristiche del probabile vincitore, sul cui carro esiste sempre una folla ansiosa di salire. C'è dell'altro. La Rai come si comporterebbe? A occhio e croce, gente come Santoro e Floris (per citarne solo due) non indugerebbe a fare da battistrada al novello profeta. Questo è il modulo tattico studiato a tavolino dagli strateghi che occupano i piani nobili della finanza. In teoria può funzionare. In pratica ha un difetto: sottovaluta le capacità reattive di Cesare Geronzi e di Silvio Berlusconi. Il primo in Mediobanca tenterà di rovesciare il tavolo, confidando anche nel sostegno di Marina Berlusconi, vicepresidente, e forse di altri personaggi. E il secondo lo conosciamo: troppe volte è stato dato per morto e, invece, si è mangiato i becchini e i loro mandanti. Fossimo in Montezemolo e nei suoi sponsor, staremmo attenti a non illuderci con largo anticipo sulla fine della partita, che si annuncia lunga e combattuta. P.S.: qualcuno ha attribuito in questa vicenda un ruolo al ministro Giulio Tremonti. Lui avrebbe benedetto il defenestramento di Geronzi; a quale fine, si ignora. E noi, nemmeno spremendo le meningi, comprendiamo perché avrebbe dovuto farlo. Aspettiamo che il ministro si pronunci. Ma dubito che apra bocca.

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