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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Giulio Bucchi
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Massimo Fini, un talento che non si discute, scrive un altro libro in cui non tradisce la sua vena di bastian contrario e di provocatore instancabile. Titolo: Il Mullah Omar, che è già tutto un programma. Chi non conosce l'impertinente autore, è portato a pensare si tratti di un saggio critico su uno dei più intransigenti capi talebani (un islamico bigotto tanto invasato quanto spietato). Niente di tutto ciò. È una biografia, ai limiti dell'agiografia, del suddetto Omar che produce l'effetto di un pugno nello stomaco. Ma è interessante. Molto interessante. Perché fornisce di quest'uomo una descrizione originale, fuori dagli stereotipi della pubblicistica ordinaria e conformistica, che permette al lettore di apprendere qualcosa di più e di più profondo sia del personaggio sia dell'ambiente in cui questi si è formato. È evidente.  Fini simpatizza per il Mullah, ne è affascinato e ciò può dare fastidio a chi, occidentale, identifichi in lui un odioso interprete e difensore di costumi lontani secoli dai propri. Ecco il motivo che ha indotto la nostra opinionista Maria Giovanna Maglie, firma nota e stimata del giornalismo patrio, ad assumere una iniziativa dal sapore antico esattamente come le idee del Mullah Omar: una denuncia contro Massimo Fini finalizzata al ritiro dal mercato del libro in questione. In sostanza, la signora Maglie, pur così liberale e aperta al confronto delle opinioni, stavolta non si limita a rigettare quella espressa dall'autore del saggio, ma ne reclama la censura. Il libro non le va a genio e pretende di mobilitare le toghe affinché lo mettano all'indice. E questo è inammissibile, assurdo, un atto di prepotenza e di violenza. La stessa violenza che Maria Giovanna rimprovera al leader talebano e al suo biografo. E se lei si adonta perché Francesco Borgonovo, sulle colonne di Libero, l'accusa di comportarsi da talebana in questa circostanza, sbaglia. Sbaglia di grosso. È lecito provare addirittura ribrezzo per un libro, ma non lo è chiedere - rivolgendosi alla magistratura - che venga dato alle fiamme. Concetti sgraditi si possono confutare, preferibilmente con argomentazioni che stiano in piedi, però è da talebani impedirne la libera circolazione. Parlare poi di Fini come di un cattivo maestro non è tanto un insulto a lui quanto a tutti noi consapevoli che non esistono cattivi maestri in una società aperta: esistono semmai allievi stupidi e bevitori acritici di ciò che leggono. Non può essere la Maglie, o un giudice, a decidere quali siano le opere degne di stare in libreria e quali no. Né è corretto anche solo immaginare sia opportuno portare in tribunale chi a nostro giudizio predica male: l'importante è che razzoli bene. Per definizione non si processano le intenzioni, buone o no, ma le azioni contrarie alla legge. Massimo Fini non ha commesso reati. Si è limitato a esternare il suo pensiero. La qual cosa, piaccia o no a Maria Giovanna, è un diritto garantito dalla Costituzione. Per ora, e per fortuna.

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