L'editoriale

Giulio Bucchi

Il programma nucleare è stato sospeso o rinviato a epoche più propizie. In altre parole è andato a farsi benedire. Ufficialmente perché bisogna riflettere e raccordare il progetto nazionale ai piani di altri Paesi europei. In pratica perché in questo modo andrà a farsi benedire anche il referendum che, svuotato della materia del contendere, non ha più senso e i promotori (di sinistra) non lo vinceranno. Il governo in questo caso non ha sbagliato sotto il profilo tattico. Per due motivi. Primo. Dopo il disastro in Giappone, la popolarità dell’energia atomica è scesa al minimo storico e, in misura direttamente proporzionale, è cresciuto il terrore per le centrali alimentate dall’uranio. La paura, compresa quella irrazionale, è quanto di più umano. E hai voglia combatterla con argomenti scientifici: non passa. Secondo. Se l’idea nucleare non fosse stata accantonata, Berlusconi o non Berlusconi, sarebbe stata bocciata prossimamente alle urne. Salire sul ring sapendo in partenza di prenderle sarebbe stata un’idiozia. Detto questo, che vale solo per il nucleare (di cui personalmente mi fido nonostante le visioni menagramanti dei catastrofisti), esprimo tutta la mia contrarietà ai metodi adottati dalla politica italiana, di destra e di sinistra, senza distinzione. Metodi che prescindono dai problemi e dalle necessità nazionali. I partiti che legittimamente conquistano la maggioranza e il diritto a gestire la cosa pubblica, anche se sono animati da buone intenzioni, quando si tratta di assumere una decisione fondamentale non si preoccupano se sia utile o no, ma ordinano un sondaggio per capire se essa susciti consenso o dissenso. Se il risultato indica che il gradimento supera la disapprovazione, si procede. Altrimenti, no. Grave errore. Perché governare significa sempre scontentare una parte, talvolta addirittura maggioritaria, degli elettori. Quindi far dipendere l’adozione di un provvedimento dall’esito dei sondaggi può essere contrario agli interessi generali. Un esempio: aumentare le tasse non genera felicità nei contribuenti eppure spesso è indispensabile se non opportuno farlo. Insomma, se, invece di guardare alle future generazioni, un premier e il suo gabinetto guardano alle prossime elezioni, si incartano e, al termine della legislatura, non saranno premiati dal voto ma bocciati. Perché il giudizio della gente è complessivo e non si limita a una singola legge. Il mugugno più diffuso infatti non si riferisce a ciò che il governo ha fatto, ma a ciò che aveva promesso e non ha fatto. Da anni e anni si parla di riforme che, regolarmente, rimangono lettera morta per mancanza di coraggio e di lungimiranza in chi avrebbe dovuto realizzarle. Berlusconi non fa eccezione. Piuttosto che rischiare di andare in controtendenza rispetto alle indicazioni demoscopiche, si acquatta nell’immobilismo e l’Italia si inceppa. Non si taglia la spesa strutturale, non si smonta l’enorme apparato burocratico, non si eliminano gli sprechi, non si recupera denaro da investire; sicché le imprese, oppresse da lacci e lacciuoli rinunciano ad espandersi e la nostra crescita è la più bassa d’Europa. Sarebbe ingiusto attribuire la situazione di stallo al centrodestra; anche il centrosinistra - o soprattutto il centrosinistra - è responsabile dell’arretratezza italiana in quanto ha spesso improntato la propria politica al più noioso conservatorismo: nel campo del lavoro, in quello del welfare, in quello dell’istruzione, in quello dell’impiego pubblico eccetera. Non cambia mai nulla. Lo Stato continua ad essere un gigante che accumula debito e non si avanza un euro per dotare il Paese di adeguate infrastrutture. Si pretende inoltre di ridurre la pressione fiscale e, al tempo stesso, di spendere nel sociale. Siamo alla logica cretina della botte piena e della moglie ubriaca. Mentre qui sono ubriachi tutti i partiti, talmente intronati da essere perfino autolesionisti. Solo due esempi. Nel Pd l’unico volto nuovo è Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Un tipo svelto, lingua sciolta, lontano un miglio dallo stereotipo del dirigente rosso, prammatico e concreto. Ebbene anziché prenderlo in considerazione per svecchiare l’organico e magari puntare su di lui per battere il Cavaliere sul terreno a questi più favorevole, quello della comunicazione, i compagni lo attaccano violentemente pur non avendo una alternativa. Fanno il gioco degli avversari. Felici loro, figuriamoci noi. E che dire della Moratti? Ha litigato con Berlusconi per Lassini (quello dei manifesti “Via le Br dalle Procure”) ponendo a Silvio il seguente ultimatum: se non me lo togli di torno, ritiro la mia candidatura. Il Cavaliere le ha sbattuto giù il telefono, però ha dovuto ingoiare il rospo, benché la posta sul piatto sia ingente: la poltrona di Sindaco di Milano che, senza i fan di Lassini in lizza, potrebbe essere preda del candidato progressista, Pisapia. Già, i partiti. Sono attenti a non fare riforme di vitale importanza nel timore di indispettire gli elettori, poi li disgustano con le loro beghe da comari. Peccato, perché la pazienza è in riserva.