L'editoriale

Andrea Tempestini

La storia di Remigio Ceroni e consorte si complica e merita un aggiornamento. Il signor deputato del Pdl esce alcuni giorni fa dall’oscuro anonimato grazie ad una iniziativa: presenta una proposta per modificare l’art. 1 della Costituzione. Il senso del quale è il seguente: il Parlamento deve stare sopra tutto e tutti, magistratura e capo dello Stato compresi. Scoppia un pandemonio. Il commento più gentile: è un’idea indecente. La polemica sarebbe comunque destinata a durare un sol giorno, come le farfalle, se il dì appresso Il Fatto Quotidiano, diretto dall’ottimo Antonio Padellaro, non pubblicasse in prima pagina questo titolazzo: Ieri picchiava la moglie, oggi riforma la Costituzione. Tra le due cose non vi è alcun nesso, ma tant’è.  Padellaro ha una sua logica bizzarra: se uno ha menato la sposa non può pensare di modificare la Costituzione. Non ne ha i titoli. Per saperne di più della faccenduola, la nostra Barbara Romano intervista Ceroni. Il quale nega di aver battuto la moglie, né con le mani né con un fiore. Lei conferma: sono stata all’ospedale soltanto per partorire; non le ho mai prese. Vergo un pezzo per dire: o Il Fatto ha scritto il falso o la onorevole sposa ha raccontato una bugia pietosa (e sottolineo pietosa) per coprire l’onorevole sposo. Nel medesimo articolo oso rilevare che nel servizio de Il Fatto mancavano alcuni elementi che consentissero di dare sostanza alla notizia. Quando mai ho osato. Padellaro, il dì appresso, mi assale con una foga degna di miglior causa. E pubblica stralci del referto medico da cui si evince che l’amata donna di Ceroni riportò a suo tempo ferite guaribili in venti giorni. Chi gliele ha procurate? Nel referto lei afferma: è stato il mio coniuge. Allora ha ragiole Il Fatto? Telefoniamo di nuovo a casa Ceroni che fornisce una nuova versione. Remigio: non sapevo nulla; ignoravo cioè che mia moglie fosse andata al Pronto soccorso. Ma l’ha menata o no? E se non lei chi, di grazia? Il deputato butta lì questa storia: mio padre le ha dato una mano di bianco; era un uomo all’antica, un patriarca ed è andato giù pesante. Segnalo che il vecchio manesco è morto e quindi non lo abbiamo potuto interrogare sulla intricata questione. Una osservazione: se uno per discolparsi accusa un defunto suscita dubbi. Ma non intendo infierire. Mi domando piuttosto perché la vittima dovesse attribuire al marito, anziché al suocero, la responsabilità del pestaggio. A quale scopo? E mi domando perché Ceroni non abbia fatto notare al quotidiano di Padellaro che un parapiglia famigliare non ha comunque alcuna attinenza con l’eventuale rettifica della Carta, per cui il titolo malandrino di cui si discetta era teso soltanto a infangare il parlamentare. Una operazione indegna di un giornale che vede macchine del fango in ogni redazione tranne nella propria, dove invece, come in questo caso, si fabbrica anche la cacca se si tratta di gettarla in faccia a un avversario politico. Padellaro insiste col caso Boffo. Sostiene che era una balla. Balla un corno. C’era una condanna per molestie. E a mio giudizio chi molesta non può concedersi predicozzi contro altri molestatori. Al massimo gli è permesso proporre cambiamenti della Costituzione, cosa lecita anche a chi ammolla ceffoni alla consorte. Il direttore de Il Fatto obietterà che io avevo parlato di omosessualità senza averne le prove. Vero. Non avevo le prove, eccetto una cartuccella senza valore. Ma anche lui ha parlato di una denuncia che per ora non ha esibito. Ha mostrato solo un referto medico. Quanto all’Ordine dei giornalisti, ribadisco: spero non faccia a lui ciò che ha fatto a me. Non ci crede? È così lo stesso.