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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Quanto temevamo è accaduto: messo con le spalle al muro, Silvio Berlusconi ha detto sì al governo Monti e ieri ha lasciato Palazzo Chigi, concludendo la sua stagione politica. O almeno quella di leader del centrodestra e di presidente del Consiglio. L'addio ha fatto gioire i tanti suoi nemici e una folla esultante si è riversata in piazza Colonna, a Roma, dove ha sede l'esecutivo. Nessuno ha ancora capito che cosa succederà, chi sia e cosa voglia Mario Monti, quali saranno i suoi ministri e quali le prossime decisioni. Ciò nonostante c'è chi si accontenta dell'uscita di scena del Caimano, convinto che egli fosse il nemico peggiore, la causa di tutti i mali. In realtà chi brinda non si rende conto di cosa è successo. Soprattutto non coglie che la fine del ventennio berlusconiano (anche se in realtà i suoi governi sono durati solo un decennio) coincide con la  perdita di sovranità nazionale e con la rinuncia degli italiani ad esercitare la loro sovranità sulla politica. Come abbiamo spiegato nei giorni scorsi, questa settimana per far posto all'ex rettore della Bocconi sono state stravolte tutte le regole. I partiti sono stati ridotti a comparse. Camera e Senato si sono fatti dettare il calendario e le decisioni da adottare. La collegialità nella scelta del candidato primo ministro è stata cancellata. Il capo dello Stato ha fatto di testa sua, decidendo di pescare dal suo cilindro il nome di una persona senza cursus politico, ignorando completamente le indicazioni scaturite dalle elezioni. Se Giorgio Napolitano ha ascoltato qualcuno non sono stati né i presidenti delle Camere né i segretari dei principali partiti né gli ex presidenti della Repubblica come la prassi impone. Gli unici che paiono aver avuto un peso nella scelta del capo dello Stato sono i leader europei.  Merkel, Obama, Sarkozy, Van Rompuy.  Il presidente francese si è addirittura offerto di venire in Italia per sostenere la candidatura di Monti e quello del Consiglio europeo nei colloqui privati ha minacciato gli esponenti politici indecisi, dicendo loro che, se non avessero accolto senza fiatare la nomina dell'ex rettore della Bocconi, le banche alla riapertura delle borse avrebbero gettato sul mercato miliardi di Btp. L'Italia ha in pratica piegato la testa di fronte  ai leader degli altri Paesi e ai rappresentanti dell'Europa, accettando un commissariamento e la perdita di sovranità. Forse non c'era alternativa, forse era assolutamente necessario assoggettarsi ai diktat di Van Rompuy. La sensazione è però che il nostro paese e i capi dei partiti italiani lo abbiano fatto nel peggiore dei modi. Senza negoziare e senza riservarsi un diritto di scelta. Altri hanno deciso per loro e, ahimé, per noi.  Come dicevamo, nessuno è a conoscenza di quale sia il programma di Mario Monti né con chi egli lo abbia concordato. Nessuno sa quali saranno i suoi ministri né a chi risponderanno. Certo non agli elettori né ai loro rappresentanti legittimamente eletti. Quello che oggi verrà varato è infatti il primo governo che chiede il voto al Parlamento, senza che il Parlamento abbia la possibilità di negarglielo. Da oggi in poi, si potrebbero anzi chiudere entrambe le Camere, mandare in vacanza deputati e senatori, meglio ancora mandarli a casa così da poter risparmiare circa un miliardo e mezzo. È evidente, e lo si è compreso anche dal dibattito sentito ieri a Montecitorio, l'inutilità di un Parlamento che non ha alcun controllo sull'esecutivo che si va formando. Per come sono andate le cose, le due Camere rappresentano una foglia di fico per nascondere una democrazia sospesa. Ciò detto, credo che presto molti si renderanno conto di cosa voglia dire un governo che non risponde al Parlamento e che non tiene in nessun conto le esigenze di consenso. Dopo aver gioito per la cacciata del Caimano, avranno modo di dolersi. Le misure in arrivo sono piuttosto scontate. Se infatti il governo tradurrà in pratica quanto richiesto dall'Europa e dai mercati, in poco tempo potrebbe venir imposta per via breve la riforma delle pensioni, con l'innalzamento immediato dell'età pensionistica a sessantasette anni. E altrettanto potrebbe accadere con le regole del mercato del lavoro, con conseguente abolizione dell'articolo diciotto. Per gli statali si sa cosa chiedono sia la Ue che la Bce: vogliono che si riduca la spesa e ciò significa sfoltimento degli organici e contenimento, se non tagli, agli stipendi. Ovviamente, per non farsi tacciare di essere amico dei padroni e affamatore dei più deboli, Monti vedrà di controbilanciare i provvedimenti con una bella patrimoniale. Un salasso su immobili e conti in banca, così da guadagnarsi la fiducia della sinistra e dare subito un segnale ai mercati per la riduzione del debito. Vista la situazione, non rimane che una raccomandazione: da ora in poi, occhio ai portafogli.

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