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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Le aspettative messianiche con cui è stato accolto Mario Monti cominciano a vacillare. Sono trascorsi già quindici giorni da quando il nuovo capo del governo ha ricevuto l'incarico e finora l'unica cosa che si è notata è la lentezza con cui il presidente del Consiglio procede. Perfino un fan convinto dell'esecutivo tecnico come il direttore di Repubblica, l'altra sera da Lucia Annunziata, ha annunciato che l'indomani il suo giornale avrebbe invitato i professori a darsi una mossa. E dopo fiumi di melassa, ma sarebbe meglio chiamarla con il proprio nome e cioè saliva, anche la stampa specializzata è giunta alla conclusione che due settimane sono trascorse senza che il governo abbia fatto nulla. In contemporanea l'organo ufficiale di Confindustria e quello internazionale dei banchieri hanno sollecitato ieri l'ex rettore della  Bocconi  a tirar fuori dal cilindro il coniglio. Il Sole 24 ore, quasi con imbarazzo, ha chiesto conto delle lentezze. Mentre il roseo gemello londinese, il Financial Times, ha riportato quanto noi scriviamo da giorni e cioè che nel Consiglio dei ministri si parla di ogni cosa, di alghe marine e di isole Cook, tranne che di ciò di cui ci sarebbe urgente bisogno. «Il piano anticrisi è avvolto nelle nebbie», ha sentenziato il quotidiano britannico. Sarà per questo, ossia per il fatto che la tirata d'orecchi non arriva dalla stampa italiana, che il più inglese dei nostri premier si è sentito in dovere di svegliarsi dal torpore del weekend e di annunciare interventi a breve. Quali siano queste misure, nonostante egli le abbia spifferate alla cancelliera Merkel, non è dato sapere, ma siccome il premier era stato poco convincente è toccato al presidente della Camera garantire a tutti che entro la settimana qualcosa verrà reso noto. Le rassicurazioni di Monti  e di Gianfranco Fini però non hanno rasserenato gli animi. Al punto che nelle redazioni dei giornali comincia a serpeggiare qualche dubbio: dopo aver scodinzolato tra le gambe dei tecnici, adesso i cronisti incaricati di registrare i sospiri dei nuovi ministri si sono fatti più prudenti. E se questi non sapessero dove mettere le mani? Se poi le lezioni a lungo insegnate cozzassero con la complessità delle norme? Le domande e l'incertezza sono alimentate anche da qualche passo falso dei tecnici nella scrittura dei provvedimenti. E pure da alcuni sfoghi degli esperti facenti parte del gabinetto di crisi. Tra tutti quello di Corrado Passera riportato sulle pagine del Corriere della Sera. Il ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture, dopo giorni trascorsi fra dossier e riunioni, alla scoperta di non poter cambiare il gruppo dirigente del suo ministero sarebbe sbottato. «Non è possibile modificare la struttura? E come si fa a operare con procedure di spesa così lente e farraginose?  Ma in che mondo siamo...». Detto da uno pratico, abituato a gestire situazioni di crisi aziendali come quelle di Alitalia, c'è di che preoccuparsi. Lo sfogo segnala lo scoramento che sta prendendo piede dopo l'iniziale entusiasmo da nomina. Intendiamoci: pur essendoci andati con i piedi di piombo, al contrario di altri colleghi i quali per Monti e i professori associati hanno suonato da subito la grancassa, noi non ci auguriamo affatto che il governo dei secchioni fallisca. Sarebbe come tagliare il ramo sul quale stiamo seduti. Se l'ex rettore della Bocconi e i suoi tecnici non ce la fanno, non vanno a fondo da soli, ma trascinano con loro anche il Paese. Dunque c'è da sperare che riescano nel compito loro affidato, anche se questo ha introdotto una situazione inedita e dai confini dubbi.  Finora l'esitazione con cui si muovono non fa ben sperare. Né induce a pensar bene la continuazione di alcune vecchie pratiche come la concertazione e l'eccesso di arrendevolezza nei confronti del sindacato, in particolare di quello più duro di tutti guidato da Susanna Camusso. Ci consoliamo col fatto che gli inizi sono incerti per chiunque e anche a dei super esperti bisogna dare il tempo di prenderci la mano. Insomma, che Dio, anzi l'Euro, ossia la divinità un po' acciaccata su cui si è costruita l'Europa, ce la mandi buona. Che a mandarci guai ci pensano già Sarkozy e la Merkel.

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