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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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L'idea di Maria Giovanna Maglie di farla finita con il canone Rai è piaciuta a molti lettori. Tra l'antivigilia di Natale - giorno in cui è uscito l'articolo della nostra editorialista - e ieri molte email sono giunte in redazione a sostegno di un'iniziativa che cancelli l'odioso balzello. Del resto sulle reti pubbliche oltre a balletti e reality trash c'è poco da vedere e quasi nulla che giustifichi il versamento di una imposta a favore del servizio pubblico. Però si dà il caso che un referendum sul canone non si possa fare. A dispetto di come viene chiamato e di come viene riscosso (le lettere di sollecito al pagamento e gli annunci di scadenza sono fatti dalla stessa Rai), il canone non è un canone, ma semplicemente una tassa e come tale non è abrogabile tramite consultazione elettorale. I furbastri di viale Mazzini, sapendo di godere di una certa impopolarità ed essendo a conoscenza che molti italiani vorrebbero evitare di pagare l'annuale estorsione, da vent'anni sono corsi al riparo. Dal 1990, anno di approvazione della legge Mammì, il canone Rai non esiste più. Al suo posto è stata introdotta un'imposta sul possesso della tv, che  col tempo è divenuta un tributo su qualsiasi apparecchio che riceva immagini, computer e tablet compresi. A incassare non è la televisione pubblica ma direttamente lo Stato, il quale ogni anno poi gira gli introiti alla Rai, come ricompensa per il lavoro svolto al servizio del pubblico. Una furbata che permette all'azienda televisiva più sprecona d'Europa (basti vedere quante camere d'albergo sono state prenotate per le prossime Olimpiadi) di continuare a spremere gli italiani, mettendosi in tasca qualcosa come 1,6 miliardi ogni dodici mesi. Nel corso degli ultimi due decenni molti hanno provato a sottrarsi al pagamento. Anni fa Bossi lanciò addirittura l'idea di uno sciopero fiscale e Daniela Santanchè riprese la proposta nel 2010, raccogliendo adesioni. Purtroppo, per come è fatta la legge, nessuno può legalmente evitare il pagamento. Se si ha una tv non c'è nulla da fare: pena essere marchiati come evasori, bisogna versare 112 euro. E neppure il referendum passerebbe: la Costituzione esclude la possibilità di una consultazione degli italiani in materia fiscale. Dunque ci si deve mettere il cuore in pace e accantonare l'invito rivolto dalle pagine di questo giornale da Maria Giovanna Maglie? Forse no. Se infatti non si possono abolire le tasse, si può sempre abolire una legge. Cosa intendo? Semplice. La Rai non è un ente di Stato. È una società per azioni di proprietà pubblica che in forza di una legge del 1975 è delegata a svolgere un servizio pubblico. Per il quale poi lo Stato le riconosce una ricompensa che, come detto, equivale esattamente a quanto lo stesso Stato incassa dall'imposta sul possesso delle tv. Ma se noi abolissimo i commi della legge del 1975 in cui si stabilisce che sia la Rai - o comunque un'azienda statale - a svolgere il servizio pubblico, non ci sarebbe più ragione di versarle quanto raccolto col canone. In pratica, abrogando la norma,  otterremmo lo stesso effetto che proponeva Maria Giovanna Maglie. I soldi raccolti con il canone non andrebbero automaticamente alla Rai, ma potrebbero essere devoluti anche a un'azienda privata che svolgesse il servizio d'informazione. Con il risultato di aprire il mercato alla concorrenza, togliendo l'ossigeno a un ente televisivo lottizzato dalla politica. Qualcuno eccepirà che questa è una furbata che aggira il problema. Certo. Ma a brigante, brigante e mezzo. La Rai ha trasformato in tassa il canone per poterlo meglio incassare. E noi aboliamo la legge che le assegna il servizio pubblico. In fondo c'è già un precedente: da anni Radio radicale svolge un servizio pubblico senza essere dello Stato e senza essere al guinzaglio dei partiti. Anzi: i radicali, che di questa Rai sono sempre stati i più fieri oppositori, potrebbero unirsi a noi. Ve l'immaginate se davvero riuscissimo a fare un referendum che tagli i viveri alla tv di Stato, cioè al simbolo stesso dell'occupazione da parte dei partiti di enti e istituzioni? Basterebbe una crocetta su una scheda elettorale e sessant'anni di sculettamenti a destra e sinistra sarebbero finiti. Non vi sembra un bel modo per iniziare il 2012 e forse anche una stagione nuova? di Maurizio Belpietro

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