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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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Ieri Monti ha fatto la voce grossa. Dopo aver appreso - grazie a Libero - che non sono bastati sei mesi per stabilire di quanto la busta paga dei nostri parlamentari sia più pesante di quella dei colleghi stranieri, ha convocato il presidente della Commissione incaricata del confronto per urgenti delucidazioni. Secondo l'agenzia Stefani di Palazzo Chigi, il premier si sarebbe lamentato con Enrico Giovannini, vale a dire con il gran capo della statistica, per il fallimento. Lo studio avrebbe dovuto essere il documento base per decidere di quanto dovessero essere tagliati gli emolumenti di deputati e senatori, ma non essendo andata a buon fine la ricerca, c'è il rischio che i risparmi annunciati sulle indennità della Casta slittino a data da destinarsi e ogni promessa di riduzione finisca nel dimenticatoio. Per il presidente del Consiglio si tratterebbe di una magra figura. Quando presentò la manovra con cui ha tartassato gli italiani, Monti giurò che la stangata avrebbe riguardato anche i costi della politica, lasciando intendere che i primi a farne le spese sarebbero stati proprio gli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama. Sarà per le resistenze dei parlamentari a farsi tosare, sarà per l'inefficienza della Commissione preposta alla valutazione, sta di fatto che l'impegno sembra destinato a rimanere disatteso. Già il capo del governo ha dovuto fare retromarcia sull'abolizione delle Province (se ne parlerà negli anni a venire), con il rinvio della riduzione delle indennità parlamentari si può dire addio al contenimento delle spese del Palazzo. Con quel che ne consegue: con quale faccia di bronzo i cosiddetti rappresentanti del popolo chiederanno al popolo di tirare la cinghia quando la loro cintura dei pantaloni non si stringe mai? Ma soprattutto: a chi toccherà pagare il conto delle mancate entrate se deputati e senatori non pagheranno quanto dovuto? La questione non è di poca importanza e, senza i tagli annunciati, Monti rischia di rimetterci la faccia, con grande discredito del supertecnico e dei suoi collaboratori presso gli italiani. Proprio per evitare un simile disastro e salvare la buona reputazione del professore, ci siamo impegnati per capire come fosse possibile aggirare le furbizie con cui si ritarda il taglio alle onorevoli indennità (16mila euro se si conteggiano le diarie e le spese di rappresentanza). Lasciando perdere la ricognizione della supercommissione e senza nulla togliere agli esperti dell'Istat e degli altri istituti di ricerca, il nostro Franco Bechis in poche ore si è collegato a Internet e ha trovato la soluzione, aggirando il minuetto con cui i membri della Casta provano a difendere i propri stipendi. Preso atto che, a causa della mancata uniformità delle buste paga, i tecnici non riescono a confrontare le cifre corrisposte ai nostri parlamentari con quelle dei colleghi stranieri, il nostro vicedirettore si è concentrato sui costi delle diverse istituzioni. Come potrete vedere nella tabella a pagina 2, per capire quanto si deve tagliare basta confrontare quanto costano Camera, Senato e Presidenza della Repubblica italiani rispetto alle equivalenti istituzioni dei principali Paesi europei. Tanto per fare un esempio, se da noi Montecitorio spende ogni anno quasi un miliardo di euro, la britannica Camera dei Comuni supera di poco i 300 milioni, costando al contribuente inglese oltre due terzi in meno di quella italiana. E mentre per Palazzo Madama ogni anno lo Stato stacca un assegno di 526 milioni di euro, in Germania se la cavano con 21, con un risparmio di mezzo miliardo. Non meglio va il confronto tra i costi del Quirinale e la dotazione dei reali di Spagna: mentre la nostra presidenza della Repubblica costa 228 milioni di euro, gli iberici ai Borbone versano un appannaggio 24 volte più basso. Insieme le nostre istituzioni spendono un miliardo e 747 milioni di euro ogni anno, mentre in Europa la media degli equivalenti palazzi supera di poco i 450 milioni di euro. In pratica, volendo andare fino in fondo, si possono risparmiare quasi un miliardo e 300 milioni. Di fronte a queste cifre e all'esigenza di ridurle, di solito l'obiezione è che la decisione di tagliare è di competenza di Montecitorio, Palazzo Madama e Quirinale, i quali essendo organi costituzionali sono indipendenti e non soggetti al governo. Vero. Palazzo Chigi non può decidere di quanto limare lo stipendio di deputati e senatori, né di ridurre l'appannaggio al presidente della Repubblica. Però, avendo la cassa in mano, può stabilire con la legge finanziaria un taglio lineare alle sopracitate istituzioni, proprio come Tremonti faceva con le amministrazioni locali e le Università. Non c'è scritto nella Costituzione che i Palazzi della Repubblica possono spendere quanto vogliono e sono irresponsabili di fronte alle esigenze di bilancio. Non servono perciò studi complicati per decidere come e di quanto limare le indennità parlamentari: è sufficiente che il ministero del Tesoro chiuda i rubinetti e ogni anno eroghi l'equivalente di quanto si eroga nel resto dei Paesi europei. Con quei soldi poi Giorgio Napolitano vuol circondarsi di 100 corazzieri invece che di 100 valletti? Affari suoi. Gianfranco Fini non ha commessi a sufficienza per farsi servire come si deve e gli onorevoli non hanno chi porta loro la borsa?  Pazienza, dovranno far da soli. Per noi verranno solo vantaggi: occupati a sbrigare qualche impegno in più, è probabile che i membri della Casta producano qualche legge astrusa in meno. Ecco, caro presidente Monti. Se vuole salvare la faccia e non gli stipendi dei suoi colleghi onorevoli (dal 9 novembre scorso Lei è un parlamentare, e pure a vita) il sistema c'è. Così avrà l'occasione per dimostrare che Lei non tassa solo la gente comune. di Maurizio Belpietro

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