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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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L'altra sera, durante la trasmissione di Corrado Formigli, su La7, ho avuto modo di conoscere Matteo Orfini, il giovane responsabile dell'ufficio propaganda del Pd. Il quale, facendo bene il proprio mestiere, a una mia osservazione riguardante l'assenza in Parlamento di un disegno di legge per ridurre o eliminare il finanziamento pubblico dei partiti, ha risposto rivendicando al suo schieramento  l'unica proposta in tal senso. Sono andato a verificare e ho scoperto che effettivamente esiste un ddl firmato da un parlamentare del Partito democratico.  Peccato che la legge indicata non preveda affatto di dare un taglio ai costi della politica, ma, al contrario, se fosse applicata finirebbe per raddoppiarli. Del resto mi sarebbe parso strano che Ugo Sposetti firmasse un provvedimento del genere. Essendo il tesoriere dei Ds, sarebbe stato come se un banchiere avesse suggerito di impedire di dar soldi alle banche. Il compagno cassiere, al contrario, al denaro non intendeva affatto rinunciare. Quando lo scorso anno depositò il testo della sua proposta, spiegò che non si dovevano solo finanziare i gruppi presenti in Parlamento, ma, per agevolare l'attività culturale e la formazione politica, lo Stato avrebbe dovuto metter mano al portafogli anche per le fondazioni vicine ai leader. Risultato: oltre ai 170 milioni incassati ogni anno, i partiti avrebbero potuto portarsene a casa altri 185. L'uomo della cassa democratica giustificò il disegno di legge con la necessità di battere il Cavaliere. «Senza soldi  governeranno sempre i partiti ricchi», disse, «e i Berlusconi ve li tenete per i prossimi vent'anni». Per quanto confortati dalla prospettiva di mandare in pensione l'odiato Silvio, l'idea di un finanziamento pubblico aggiuntivo a disposizione dei centri studi legati ai politici dev'essere sembrata troppo difficile da digerire perfino ai vertici del Pd, i quali si sono affrettati a prenderne le distanze, lasciando che Sposetti si difendesse da solo. E il tesoriere progressista, fiutata l'aria, si affrettò a dichiarare di essere disposto a rinunciare al finanziamento delle fondazioni. A patto naturalmente che si confermasse quello ai partiti. Che in fondo ci sia voglia di mantenere il sistema esistente  lo dimostra anche un'altra proposta, anch'essa democratica e di sinistra. Si tratta del disegno di legge Veltroni, il quale vincolerebbe il via libera dei fondi all'istituzione delle primarie. Chi vi si assoggetta può battere cassa, gli altri nisba. Come si capisce, né la proposta del cassiere né quella dell'ex segretario Pd avevano come obiettivo di contenere la voracità dei partiti. Al massimo la si voleva regolare, subordinando la riscossione dei soldi a un po' di democrazia interna. Ma a nessun leader è passato per la testa di rinunciare a quel denaro piovuto dal cielo, senza il quale molta gente che oggi campa di politica sarebbe costretta a cercarsi un mestiere. Dunque la mangiatoia a cielo aperto dalla quale Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita scappato con la cassa, ha attinto a piene mani, difficilmente sarà chiusa. Nessun gruppo, neanche quelli che oggi si lamentano e minacciano fuoco e fiamme contro i soldi ai partiti, ha interesse a farlo, perché sarebbe costretto a chiudere bottega, mandando a lavorare portaborse e galoppini. Così come è improbabile un cambio nella gestione dei fondi da parte dei partiti. Per quanto molti oggi si mostrino stupiti dall'ammanco nella cassaforte della Margherita, la regola che consente ai vertici dello schieramento massima discrezionalità nell'uso del denaro  vige ovunque. I segretari e gli esecutori che custodiscono il salvadanaio coi soldi fanno ciò che gli pare, senza rendere conto a nessuno. Se n'è avuto prova anche nel caso dell'appartamento di Montecarlo, ereditato da An e svenduto alle società offshore del cognato di Fini. Un patrimonio passato di mano per pochi spiccioli senza che i militanti potessero obiettare alcunché. E quando la vicenda è finita in Procura, nonostante l'evidenza dei fatti, i pm hanno alzato le mani, sostenendo di non poter far nulla in quanto i partiti non sono società, ma associazioni private irresponsabili di fronte alla legge. Insomma, finché vige l'attuale ordinamento non c'è da stupirsi di quel che succede. L'unica soluzione è porre mano all'articolo 49 della Costituzione, definendo il ruolo delle associazioni che rappresentano le opinioni politiche dei cittadini. Trasformare i partiti in società per azioni avrebbe un vantaggio: visto che in certi ambienti il codice morale non funziona, se qualcuno sgarra per lo meno ci si può appellare al codice civile o al codice penale.    di Maurizio Belpietro

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