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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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La Camera ha approvato il decreto svuota carceri. In totale i deputati che lo hanno votato sono stati 420, molti meno di quelli che ci si sarebbe potuti attendere, dato che a novembre il governo fu battezzato con una fiducia di 556 voti. Tuttavia il problema non è la libera uscita dei parlamentari che sostengono Monti, i quali si assottigliano votazione dopo votazione, bensì la libera uscita di diverse migliaia di detenuti. Tremila secondo alcuni, seimila secondo altri. Tutta gente non pericolosa, assicura il ministro della Giustizia Paola Severino, la quale pare che appena nominata sia stata colpita dalle condizioni di alcune carceri. Certo, le celle delle nostre prigioni non sono confortevoli come quelle norvegesi. A Oslo i criminali li trattano in guanti bianchi e perfino lo squilibrato che ha ucciso 70 ragazzi disarmati gode di un servizio extra lusso, con tv a schermo piatto e palestra per rilassarsi. Da noi, al contrario, le carceri mediamente fanno schifo e sono sovraffollate di detenuti in attesa di giudizio. Alcune patrie galere risalgono al regno papalino, come ad esempio Regina Coeli, mentre altre, tipo San Vittore, sono state edificate subito dopo l'Unità d'Italia e una delle più recenti, Poggioreale, nel 2014 avrà cent'anni.  Difficile dunque dare torto al Guardasigilli quando si lamenta della situazione in cui vivono i condannati, e anche chi una condanna non l'ha subita e dunque è da considerarsi innocente. Ciò detto, il problema non si risolve mettendo tutti fuori, ma costruendo nuove prigioni. Quando nel 2006 il Parlamento aprì le celle a 26 mila detenuti, i penitenziari scoppiavano al pari di oggi. In totale dietro le sbarre c'erano 66 mila persone e, secondo le denunce dei volontari che prestavano servizio nelle case di pena, per coricarsi ai prigionieri toccava fare i turni. La massiccia scarcerazione per un po' risolse il problema, evitando suicidi e le rivolte che si annunciavano, ma passati un paio d'anni  la questione si è riproposta identica, se non peggio. Un po' perché molti di quelli messi fuori sono tornati a delinquere come prima e più di prima e, una volta pizzicati, hanno fatto ritorno a casa, quella circondariale ovviamente. Un po' perché, una volta liberate le celle, nessuno si è posto il problema di costruirne di nuove. Ho fatto una ricerca. Sono almeno 25 anni che si parla dell'emergenza carceri. All'epoca era ancora vivo il pentapartito. Craxi era presidente del Consiglio, Scalfaro ministro dell'Interno, Virginio Rognoni della Giustizia e Franco Nicolazzi responsabile dei Lavori pubblici. Toccò a quest'ultimo, un socialdemocratico di Gattico, provincia di Novara, farsi carico del problema. Come è abbastanza noto, invece di preoccuparsi di costruire in fretta i nuovi reclusori, Nicolazzi si preoccupò di mettersi in tasca una tangente di 2 miliardi di vecchie lire. Da allora sono passati diversi governi. De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema, di nuovo Amato, di nuovo Berlusconi e di nuovo pure Prodi, ma di fatto è cambiato poco e nulla. I vari ministri che si sono succeduti nel corso degli ultimi vent'anni hanno promesso superpenitenziari, in grado di contenere l'intera popolazione carceraria, presentando piani e progetti, ma di celle in più non se ne sono viste molte. Eppure non ci vorrebbe tanto: basterebbe vendere ai privati San Vittore o Regina Coeli, che stanno rispettivamente nel centro di Milano e Roma, per costruire con il ricavato quattro o cinque prigioni in periferia. Con la stessa cifra le si potrebbero fare capienti e moderne, così da migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Evitando però allo stesso tempo di fare a ogni legislatura un'amnistia o un indulto, che in realtà si risolve in una specie di ora d'aria per i delinquenti abituali. L'operazione potrebbe essere fatta a costo zero, in quanto non peserebbe sulle casse dello Stato. Tanto si guadagna mettendo all'asta le vecchie case circondariali, tanto si spende. Ma forse è proprio questo il problema. Senza maneggi c'è il rischio che qualcuno non ci mangi come è abituato a fare. Oh, certo, conosco l'obiezione degli esperti. Per vendere due edifici storici come San Vittore e Regina Coeli (ma si potrebbero aggiungere anche l'Ucciardone a Palermo e Poggioreale a Napoli) ci vuole tempo, servono le autorizzazioni e poi bisognerebbe cambiare i piani regolatori... Si tratta di critiche che servono a fare ciò in cui l'Italia eccelle, cioè nulla. Infatti ogni contestazione è facilmente superabile, basta volerlo. Per cui mi appello al Guardasigilli. Signora Severino, lei mi pare una persona seria, e facendo l'avvocato ha una conoscenza pratica del problema. Non faccia dunque ciò che hanno fatto i suoi predecessori: amnistie e indulti. Se vuole risolvere la questione delle celle troppo piene, cominci a far smaltire il numero di detenuti in attesa di giudizio. Prima di mandare uno in carcere gli si faccia un regolare processo, evitando in tal modo che i penitenziari diventino una specie di sala d'aspetto in cui le procure parcheggiano gli arrestati. E per quelli che una condanna ce l'hanno, faccia costruire nuove prigioni. Così si avrà la certezza della pena e ai tanti sconti sulla carcerazione di cui i detenuti già godono non si aggiungerà anche quello per sovraffollamento. di Maurizio Belpietro

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