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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Notizie dalla Calabria: ieri gli agenti della squadra mobile di Milano hanno arrestato il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi. L'accusa: corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. In pratica il magistrato avrebbe venduto le sentenze a un clan della ‘ndrangheta, ricevendone in cambio 71 mila euro più una serie di viaggi  tutto compreso con il conforto di una ventina di escort.  Il fatto testimonia che le mele marce si trovano a qualsiasi latitudine e la corruzione non è monopolio della politica ma anche chi indossa la toga vi ci può sguazzare. Fin qui tutto scandalosamente normale. Ad essere un po' meno abituali sono i precedenti dell'arrestato. Il dottor Giancarlo Giusti, questo il nome del gip finito in manette, già anni fa era stato oggetto di un'ispezione ministeriale e di un pronunciamento del Consiglio giudiziario di Reggio Calabria, nel quale si sollecitava una censura del Csm nei confronti del collega. A spingere a un simile passo l'organo che per legge vigila sul comportamento dei magistrati e formula pareri sulla loro preparazione furono le sospette abitudini del giudice. Tanto per cominciare su 900 perizie disposte dal suo ufficio, un terzo era affidato alla stessa persona. Poi, dovendo disporre la vendita di un bene immobile, la scelta del dottor Giusti era caduta, guarda caso, su una società di proprietà del suocero, della moglie del perito beneficiario del 30 per cento di incarichi e di uno dei maggiori clienti della sua stessa moglie. Fosse capitato a chiunque altro di concedere un'esecuzione a favore di un familiare e dei propri amici, sarebbe successo un putiferio e di certo ci sarebbe scappata un'incriminazione. Ma nel caso del dottor Giusti non successe nulla. Anzi. Una volta finita davanti al Consiglio superiore della magistratura, la pratica di censura del Consiglio giudiziario fu censurata. La sezione disciplinare dell'organo che dovrebbe assicurare la rettitudine delle toghe stabilì infatti che l'assegnazione dell'immobile ai parenti era avvenuta in assoluta buona fede e che il magistrato aveva il merito con le sue sentenze di aver «movimentato il settore immobiliare».  In base alla relazione di Elisabetta Cesqui, esponente di Md, il Csm non solo assolse Giusti, esprimendogli fiducia, ma addirittura lo promosse, assicurandogli uno scatto di anzianità e un aumento di stipendio. Un errore dovuto a un senso di magnanimità o riflessi corporativi? Il Pg della Cassazione escluse entrambe le ipotesi. Giusti poteva non sapere che il bene lo stava assegnando a suo suocero e nell'affidamento di tanti incarichi a una sola persona, la cui moglie era socia di un suo stretto familiare, al massimo si poteva ravvisare una certa ingenuità. Piccolo quesito: ma l'attenuante della dabbenaggine vale solo per le toghe? Chissà invece che cosa si può ravvisare nel caso di Olindo Canali, un giudice che fino a poco tempo fa era in servizio presso il Tribunale di Milano. Il 14 marzo il gup di Reggio Calabria lo ha condannato a due anni di carcere per falsa testimonianza, riconoscendolo colpevole di aver raccontato una menzogna davanti alla corte d'assise d'appello di Messina, tacendo circostanze utili alla condanna di un boss accusato di alcuni delitti. In breve la storia è questa: quand'era procuratore a Barcellona Pozzo di Gotto, Canali avrebbe negato la paternità di un documento relativo all'omicidio del giornalista Beppe Alfano, sostenendo anche di non aver ricevuto confidenze dalla vittima. Indagato dal procuratore capo Giuseppe Pignatone con l'aggravante mafiosa,  Olindo mobilita un network difensivo  - definizione di Sonia Alfano, figlia dell'ucciso e parlamentare dell'Idv - molto vicino a Md e del quale ingenuamente (altra definizione dell'onorevole Alfano) fa parte anche Bruno Tinti, ex pm e ora azionista del Fatto quotidiano. Nonostante la rete, il giudice condanna Canali a due anni, escludendo la sola aggravante. A questo punto, la scorsa settimana, entra in scena la dottoressa Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, la quale decide di spostare il condannato dalla quinta sezione penale alla nona sezione civile. In pratica, il giudice Olindo d'ora in poi non manderà più in galera o in libertà la gente, ma si occuperà di liti, danni, fallimenti e altro. Piccola curiosità: ma quando sentirà i testi  rammenterà loro che chi dice falsa testimonianza commette un reato? Ultima notizia, anche questa in arrivo dalla Calabria: riguarda Alberto Cisterna, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, cioè il vice di Piero Grasso. Un pentito lo ha accusato mesi fa di aver preso soldi per far scarcerare il figlio del boss Luciano Lo Giudice e per questo il magistrato è indagato per corruzione in atti giudiziari. Lui si è sempre proclamato innocente e ha contrattaccato denunciando ai colleghi di Perugia un complotto ai suoi danni,tuttavia i suoi numeri di telefono sono stati trovati su un'agendina del boss e poi ci sarebbe di mezzo anche una strana sim telefonica delle Filippine. Sta di fatto che la prima sezione del Csm (con la sola eccezione del  rappresentante di Md) pochi giorni fa ha proposto di trasferirlo per incompatibilità ambientale, affermando che «per la sua frequentazione costante, al di fuori dei doveri d'ufficio, di un soggetto legato a una famiglia appartenente alla criminalità organizzata, l'indipendenza e l'imparzialità di Cisterna è definitivamente appannata».  Piccola domanda: ma se uno è dipendente e parziale a Reggio Calabria, una volta spedito a Torino torna indipendente e imparziale? Alle notizie aggiungo solo un commento. Premesso che in assenza di una condanna definitiva ogni cittadino è innocente e dunque anche Giusti, Canali e Cisterna sono da considerarsi tali. Ma come possono i magistrati pretendere che politici sospettati o indagati facciano un passo indietro e rinuncino alle poltrone, quando loro, se accusati o condannati, sono i primi a non scollarsi dalla sedia, con l'aggravante di essere in questo atteggiamento spalleggiati dai colleghi e dall'organo di autotutela? Come potete, care toghe, chiedere rigore e un comportamento morale quando voi siete le prime a tenerne uno di totale disprezzo nei confronti della gente comune che dovete giudicare? Non sarà che anche voi avete gli stessi vizi dei politici? E poi vi stupite che qualcuno vi chiama l'Ultracasta e vuol farvi pagare per legge i vostri errori.     di Maurizio Belpietro

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