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Bergoglio, un modello vincente. Ma con un punto debole

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Considerandolo come capo  di stato e capo religioso, Jorge Mario Bergoglio è oggi, probabilmente, l’uomo più potente e inattaccabile del mondo. Sia per motivi storici che contingenti, si tratta di un vero unicum, un “organismo perfetto” programmato per il trionfo. Tuttavia, non è privo di un tallone d’Achille: vediamo perché sulla base di alcuni dati oggettivi.

A differenza dei suoi predecessori e degli altri capi di stato, il papa oggi non ha un vero territorio da difendere e, come in epoca pre-risorgimentale, nessuna potenza europea si sognerebbe di invadere lo Stato della Chiesa. Gode quindi di una sicurezza materiale totale. 

E’ protetto all’interno di un mite “organismo ospite”, l’Italia, paese stabile - sebbene in via di disfacimento/colonizzazione - sul quale il Vaticano esercita già un certo consolidato potere. Nessuno dei politici italiani oserebbe mai contrastare Papa Francesco, o tenergli testa.  

Il papa non ha un’opposizione interna perché è un monarca assoluto che si tutela perfettamente: qualsiasi golpe è inconcepibile in quanto autodelegittimato a livello morale. 

Inoltre, Bergoglio ha la rara facoltà di nominare nuovi “senatori a vita” (i cardinali) a lui favorevoli, come ha già fatto, in modo da garantire un successore che proceda sulle sue orme e quindi di rassicurare la gerarchia a lui fedele.  

La sua autorità gli consente di liberarsi dei personaggi scomodi in modo non brutale. Basta una sua parola e una congregazione chiude i battenti, un cardinale viene trasferito o rimosso da un incarico, semplici preti vengono scomunicati e/o ridotti allo stato laicale.

Il Vaticano ha inoltre cominciato a godere, per la prima volta nella storia, dell’appoggio dei grandi poteri mondialisti. Basti pensare alla benedizione accordata da Bergoglio alle Ong o a come Avvenire abbia da poco esplicitamente auspicato il “Nuovo Ordine Mondiale”.

Fin qui abbiamo visto il potere di Francesco come capo di stato. Come capo religioso, il papa romano gode di un’autorità morale indiscussa per 1.285.000.000 cattolici nel mondo, mentre le altre religioni sono frammentate in varie correnti, sette, etnie, con diversi capi. 

Francesco beneficia, poi, di una ribalta mediatica mondiale non goduta né dai suoi predecessori, né da altri capi religiosi e dispone della “scenografia” più splendida e fastosa del mondo: Roma. 

La comunicazione di Papa Bergoglio è poi vincente: raccoglie consenso di massa insistendo solo su alcuni valori etici del Cristianesimo e unanimemente condivisibili: fratellanza, pace, rispetto per il creato, rinuncia all’egoismo… I media approfittano della vasta audience ottenuta per tali discorsi e lo sostengono compatti. Per delegittimare i suoi oppositori laici, Bergoglio spesso impiega efficacemente non solo la cosiddetta “reductio ad Hitlerum” evocando il Nazismo, ma anche l’anticlericalismo laico-liberal-progressista. I suoi oppositori, se solo menzionano i precetti di ordine e giustizia contenuti nel Cattolicesimo, si auto-ghettizzano, a seconda dei casi, o come pseudofascisti, o come “clericali”, ipocriti e duri di cuore.

Per la prima volta nella storia, l’attuale pontefice può contare sull’appoggio delle élite intellettuali atee e/o tradizionalmente anticattoliche, cosa impensabile fino a qualche decennio fa: parla attraverso Scalfari, loda gli abortisti Bonino e Pannella, appoggia partiti e posizioni di sinistra etc. Se perfino i nemici storici lo apprezzano, il successo è totale. 

Tuttavia, il ruolo del Romano Pontefice è sempre stato legato a un supremo vincolo: la strettissima osservanza della tradizione e della dottrina, un giogo al quale erano sottoposti perfino papi della personalità di Alessandro VI Borgia. 

Bergoglio invece – da qui la sua unicità - si è svincolato anche da queste ultime catene, e la sua rivoluzione spirituale è dolce al palato delle masse: niente più peccato, inferno, castighi, rinunce, sacrificio: tutti in Paradiso. 

Questa strategia gli è permessa dalla debolezza generale del clero (e dal supporto di alcune lobby interne ad esso), nonché da credenti in massima parte tiepidi, del tutto dimentichi delle basi dogmatiche del Cattolicesimo. Queste, infatti, dopo il Concilio Vaticano II sono diventate molto più interpretabili, tanto da far parlare di “palude teologica”.

Dal punto di vista delle scienze politiche, Bergoglio è quindi una vera “macchina da guerra”, ma ha un solo punto debole: la coerenza interna e primigenia del sistema che lo ha prodotto. Che si sia credenti o meno, il Cattolicesimo si è “darwinianamente” tenuto in piedi, per duemila anni, in quanto fondato su un impianto che - una volta accettato per  fede - si rivela al proprio interno estremamente logico e coerente, quasi matematico: un modello “meritocratico” comprensibile anche ai livelli più elementari. 

Il punto debole di Bergoglio consiste nel fatto che il ruolo del papa trae la sua legittima autorità solo in quanto custode del “depositum fidei”, ovvero solo come conservatore di quel sistema logico che, per i cattolici, è di matrice divina. Solo in base all’espletamento di questa funzione è considerato assistito dallo Spirito Santo ed infallibile (ex cathedra).

Se venisse dimostrato che Bergoglio non assolve a tale incarico, ovvero che promana eresie, egli sarebbe scomunicato “latae sententiae”, automaticamente, e per lui sarebbe la fine.

Il problema per i suoi avversari è quindi essenzialmente tattico-comunicativo: non possono contestare teologicamente Bergoglio senza farsi scomunicare, o senza uscire volontariamente dalla Chiesa. Restando all’interno, non hanno alcuna possibilità di agire, se non praticando sporadici, quanto inutili, “sabotaggi”. 

Quindi, in via teorica, l’unica strategia che potrebbe mettere seriamente in difficoltà Papa Francesco, e forse costringerlo all’abdicazione, sarebbe solo quella di una “diserzione” di massa del clero. Non uno scisma, con un’altra chiesa, bensì un atto di protesta generale, una battaglia identitaria e “legittimista”, magari raccolta intorno all’anziano Papa Benedetto, peraltro titolatissimo custode della tradizione che ha pur mantenuto alcune prerogative pontificie. Una ribellione così visibile da rompere ogni embargo mediatico riportando alla conoscenza collettiva quelle basi del Cattolicesimo che, a detta di vari teologi, sarebbero incompatibili con le posizioni moderniste e mondialiste di Bergoglio. A livello economico, la diserzione dei preti fuoriusciti dovrebbe essere sostenuta solo dalle libere offerte dei fedeli, rifiutando qualsiasi finanziamento di altra natura per evitare perdite di credibilità. Il web consentirebbe ai legittimisti di diffondere il loro messaggio anche senza disporre delle strutture fisiche, chiese, parrocchie, palazzi etc. riscuotendo quella simpatia che, da sempre i “ribelli” riescono a catalizzare intorno a sé. 

Queste, dunque, le forze in campo e le strategie possibili per la guerra in corso: la storia proclamerà il vincitore. 
 

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