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Il "Marchio della Bestia" e altri brand

Per uno di quei paradossi di quest’epoca gustosamente inversiva, coloro che pochi giorni fa festeggiavano in piazza il 25 aprile, “contro ogni forma di fascismo”, erano per loro stessa pacifica accettazione controllati,  spiati, videoripresi ovunque, e all’occorrenza censurati.

Non ci credete? Facciamo un salto nel tempo e torniamo ai primi anni 2000. All’epoca avremmo forse accettato l’idea che il cellulare - persino chiuso e persino quello altrui - ascoltasse le nostre conversazioni, per inviarci pubblicità mirate sui social?

Oppure, che un algoritmo registrasse le parole da noi digitate sui social per raccogliere i nostri dati? Avremmo accettato che qualcuno ci togliesse la parola, impedendoci di comunicare per giorni con i nostri amici perché avevamo detto o scritto qualcosa di “sbagliato”? (Come accade su Facebook e Youtube). O che ovunque vi fossero telecamere pronte a catturare nostre immagini?

All’epoca non era ancora uscita la parola “gomblotto” (complotto) per cassare con una battuta stantìa chiunque ci avesse paventato un simile futuro. E invece, oggi, goccia dopo goccia, tutto si è realizzato e abbiamo accettato tutto. Ci siamo completamente assuefatti a continue - e sempre maggiori - perdite di “sovranità personale”. Perché è comodo.

Questa realtà è confermata dall’ing. Biagio Garofalo, Direttore Tecnico Consiglio Nazionale Ingegneri il quale analizza “proposte” internazionali di normazione in ambiti, (IOT), dove esistono concrete volontà di controllare masse tramite processi tecnici e tecnologici: “Quanto sopra riassunto è del tutto corretto: gli smartphone sono dispositivi dei quali non abbiamo il completo controllo e, coperte dal segreto industriale, le loro tecnologie non sono del tutto trasparenti. Telecamere cinesi sono ovunque; gli Stati Uniti hanno ripreso la conquista lunare per motivi di comunicazione e controllo nella dimensione spazio e, soprattutto, si affaccia adesso il grande problema del 5G che consentirà di monitorare gli spostamenti delle persone e di studiarne comportamenti”.

Bisognerebbe avvertire quindi i signori col fazzoletto rosso assembratisi il 25 aprile, che è finito il tempo delle rivoluzioni rosse o nere, delle marce sulle capitali, dei putsch, così come è finita l’epoca dei colonnelli e dei golpe. Epoche dove il tiranno era palese, indossava una divisa severa e si imponeva con la forza delle armi.  Quella è tutta roba vintage, buona ormai per paesi “diversamente sviluppati” (Terzo Mondo è poco politicamente corretto). Il loro antifascismo potrebbe quindi essere ottimamente indirizzato verso battaglie più aggiornate.

Intanto, mentre l’app “Immuni” registrerà fra pochi giorni ogni nostro movimento, si sta discutendo del microchip che, inserito sotto la pelle della mano destra o della fronte, ci renderà costantemente monitorati, anche sotto la doccia. Per il nostro bene, s’intende: sarà comodissimo, basterà un gesto della mano per aprire i tornelli della metro, o per pagare una bolletta. Ma poi chi glielo spiega ai cattolici (quelli vecchio stampo, almeno) che il microchip non è il Marchio della Bestia annunciato in Apocalisse 13,16?  “Inoltre la Bestia obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome”.

Proprio la fronte e la mano destra. Almeno scegliere un altro sito corporeo? Un gluteo, un lobo, giusto per salvare le apparenze... No.

Comunque, senza scomodare San Giovanni, anche i laici potrebbero fare attenzione ai piccoli cambiamenti, ai passetti dell’umanità, alle piccole innovazioni “comode, utili e sicure”.

Dai tempi del boom economico ci siamo abituati – per una sorta di ingenuo neo-positivismo - ad assorbire ogni innovazione tecnologica come qualcosa di dogmaticamente positivo. Prima era il frigorifero, oggi il microchip. In pochi si chiedono: “a fronte di questo strumento che mi fa risparmiare tempo e fatica, cosa sto perdendo?”.

In primis, si possono perdere abilità personali, capacità di adattamento e di orientamento. Quanti adolescenti sarebbero oggi in grado di trovare un indirizzo in città senza il Google Map o il Gps?

Si può perdere il silenzio, la capacità di resistere soli con i propri pensieri e di comunicare con gli altri in modo diretto. Si può perdere la noia, che è un’insospettata molla funzionale ad attivarsi creativamente e a cercare nuovi stimoli. Può scemare perfino il desiderio sessuale, con una pornografia sempre a portata di click, in ogni momento. Viceversa, si possono sviluppare dipendenze emotive, ansietà, smanie di controllo. Quanti sono i fidanzati che si rovistano vicendevolmente nello smartphone?  O le mamme che vogliono costantemente tenere sul radar il figlioletto, o le dinamiche asfissianti dei gruppi “del condominio”?

Quindi, la domanda finale sarebbe questa: è plausibile decidere consapevolmente di rinunciare a certe comodità e non ipertecnologizzarsi, pur di mantenere uno stile di vita più naturale, libero e “sovrano”?

Ognuno si dia la risposta che crede più opportuna.