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Silenzi assordanti sul caso della “falsa rinuncia” di Ratzinger

Secondo il quotidiano della Cei siamo “pazzi e imbecilli” per aver fatto il nostro dovere

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Esercizio di fantasia: la regina Elisabetta lascia il trono in favore del principe Carlo, ma, dopo qualche tempo, un esperto di diritto della Casa reale scopre che, sull’atto di abdicazione, pieno di strafalcioni grammaticali ed errori giuridici, c’è scritto che la Regina, in realtà, ha rinunciato a esercitare materialmente il potere, ma non ha rinunciato alla Corona. Non per nulla, Elisabetta, chiusa in un’ala di Buckingam Palace, continua a indossare il diadema, il manto regale e a comportarsi come se fosse ancora la sovrana. Subito, una parte dei sudditi accusa re Charles di aver forzosamente “licenziato” la madre che, astutamente, avrebbe scritto un’abdicazione fasulla.

Sarebbe il caso giornalistico del secolo, no? Un giallo terribilmente appassionante sul quale talk show di tutto il mondo si getterebbero avidamente.

Invece, nel nostro bel Paese, forse assopito dal solicello di un giugno clemente, un caso analogo - che configurerebbe il colpo di stato più grave degli ultimi 2000 anni, stavolta ai danni di un papa, (anzi due) - è stato accolto in modo molto diverso, sia dagli interessati, che dai media.

Breve riassunto per chi si fosse perso la prima puntata, a questo link.

Il frate italo americano Alexis Bugnolo, esperto latinista, leggendo attentamente la Declaratio di rinuncia di Benedetto XVI, sostiene che sia stata da lui scritta, con estrema abilità, appositamente perché nel tempo venisse scoperta invalida. In questo modo, Ratzinger avrebbe permesso alla “Mafia di San Gallo”, la lobby massonico-progressista  che lo ha costretto ad abdicare, di prendere il potere e di svelarsi. Benedetto avrebbe fatto così in modo che tutti gli atti, le nomine e i cambiamenti dottrinali operati dagli usurpatori possano essere spazzati via d'un colpo. Per questo il Vaticano – secondo frà Bugnolo - ha deliberatamente falsificato, nelle traduzioni in lingua straniera, la Declaratio latina di Benedetto, tentando di porre rimedio alle sue intenzionali falle, ma dimostrando, così, ulteriore dolo. 

Pur prendendo con cautela  le gravissime affermazioni del frate, non abbiamo potuto evitare di riconoscere che, in questa ricostruzione, vi sono dei dati di fatto incontestabili: leggendo il documento latino, papa Ratzinger non ha infatti rinunciato al Munus, (l’incarico di papa, di derivazione divina)  ma solo all’esercizio pratico del potere, il Ministerium. Eppure,  il codice di diritto canonico impone la rinuncia proprio al Munus.  

Anche gli errori grammaticali ci sono, individuati da classicisti di tutto il mondo, ed è inconcepibile che un papa della cultura di Joseph Ratzinger commetta questi sfondoni o che non sia stato corretto da nessuno dei funzionari per 18 giorni fino alla  sede vacante.

Peraltro, letta in questa nuova ottica, la Declaratio svela una coerenza “strategica” che NON INFANGA la figura di Benedetto, il quale anzi,  ne uscirebbe “candido come una colomba e astuto come un serpente”,  per dirla con le parole di Gesù. I suoi comportamenti successivi all’abdicazione sono infatti perfettamente coerenti.  Forse la rinuncia è stata scritta da altre persone? Oppure dallo stesso Benedetto in un momento di scarsa lucidità? Anche in queste condizioni l’atto sarebbe, ovviamente, invalido.

Insomma: perfino uno studente al primo semestre di Giurisprudenza si renderebbe conto che questo “lascito” presenta dei buchi tali da poter essere facilmente impugnato.

Ma siccome stiamo parlando della Chiesa di Cristo, SENZ’ALTRO CI DEVE ESSERE UNA FACILE SPIEGAZIONE . Ci aspettavamo, quindi, che dal clero o dall’informazione cattolica istituzionale provenisse subito un circostanziato “sbufalamento”.  E invece?

Il silenzio assordante dei grandi media è stato rotto solo da Avvenire: il collega Gianni Gennari (che, pure, da ex sacerdote, dovrebbe, nel caso, ammonirci con un po’ di carità) ci ha dato dei “pazzi” e degli ”imbecilli”, solo perché abbiamo riferito  le affermazioni di un frate latinista evidenziando su quali basi oggettive esse poggino: voleva essere un contributo alla Verità, tanto che chi scrive, incurante delle offese ricevute, si è pubblicamente dichiarato disponibile a collaborare con i colleghi di Avvenire per trovare insieme a loro delle soluzioni alternative alle  tesi di fra’ Bugnolo.  Saremmo tutti rassicurati, infatti, da che una tesi così agghiacciante venisse presto cassata da valide spiegazioni.

Avvenire non ha, però, raccolto la proposta, né ha presentato delle scuse che sarebbero state anche opportune dato che il Canone 212, del Codice di diritto canonico, recita:  “I fedeli, in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l'utilità comune e la dignità della persona”.

Quindi un frate latinista ha il diritto/dovere di manifestare il suo pensiero in un caso del genere e, di riflesso, un giornalista ha tutto il diritto/dovere di scriverne.

Tali reazioni scomposte sono quindi un boomerang dal punto di vista comunicativo: di fronte ad affermazioni così gravi e documentate come quelle di fra' Bugnolo, che tutti possono controllare con un clic sul sito del Vaticano, non ce la si può cavare dando degli imbecilli a colleghi che fanno il loro dovere. Equivale ad ammettere di essere a corto d’argomenti.

Se “il papa è il papa”, come ha ribadito il card. Scola nella sua recente autobiografia, sicuramente, la rinuncia di Benedetto sarà stata ratificata A REGOLA D’ARTE, nel pieno rispetto del diritto canonico e si potranno fornire facilmente delle spiegazioni. Molti fedeli aspettano delle RISPOSTE SERIE. Possibile ch costi tanta fatica?

Stavolta non è positivo tacere, come già fece papa Francesco di fronte ai Dubia  dei quattro cardinali prima, e poi - evocando il mite silenzio di Gesù con i “cani rabbiosi della Sinagoga” - alle accuse, di inaudita gravità, di Mons. Viganò.

In sintesi: la delegittimazione dell’interlocutore, l’attacco ad personam, la derisione snobistica, la ghettizzazione nel circolo dei “tradizionalisti ipocriti e duri di cuore”, i silenzi “da mite agnello sacrificale”, sono strategie dialettiche obsolete, ormai riconoscibili lontano un miglio.

Lo diciamo con tutto il rispetto possibile: l’unico confronto serio e credibile, degno della Sposa di Cristo, è sul MERITO DELLA QUESTIONE.

Siamo del tutto ottimisti che la Chiesa, testimone di Verità, esercitando la virtù della Fortezza, saprà prendere il toro per le corna e certificare - dopo un pubblico e leale dibattito - la legittima autorità di papa Francesco fugando per sempre i dubbi che, fin dal 2013, offuscano la sua immagine turbando milioni di cattolici.

Non sarebbe la prima volta, infatti, che la Chiesa cattolica, eludendo le questioni scottanti o ricoprendole di un manto di silenzio, si trovi poi a dover affrontare scandali terrificanti che rovinano la sua credibilità. Un vero peccato.

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