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Dove porta l'assuefazione al porno? Un'emergenza drammatica e ignorata

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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“Ella sgonnella e scopre la caviglia con un fare promettente e lusinghier”. Sono parole della Bohème pucciniana e ci tramandano il polso di ciò che costituiva uno scandalo sociale alla metà dell’800. Già all’epoca, tuttavia, circolavano, più o meno furtivamente, fotografie pornografiche: morbidi nudi di donna, dalle forme canoviane e dalle pose modeste che ai nostri tempi non ecciterebbero nemmeno un ergastolano.

Facendo un confronto con la pornografia (legale) attuale, a portata di clic, si deve ammettere che se ne sono fatti di progressi.

Non occorre scendere in dettaglio, ma per chi non lo sapesse, oggi abbiamo materiale infinitamente più estremo e più accessibile, con decine di categorie per tutti i “gusti”, con tutte le combinazioni possibili e immaginabili e le più fantasiose attrezzature.

Qui non si ha a che fare con l’evoluzione della cultura, dato che la fisiologia dell’eccitazione sessuale non è molto diversa tra quella di un individuo di un secolo fa e un contemporaneo.

Attraverso questo confronto storico, tutti possono verificare l’”assuefazione erotica”, un fenomeno distruttivo di massa del quale nessuna autorità sanitaria italiana sembra si stia occupando pur trattandosi di salute pubblica, legalità, equilibrio sociale, educazione. Non c’entra la morale o la religione.

Di ricerche ce ne sono a bizzeffe: lo studio dello psicoterapeuta americano Peter Kleponis "Uscire dal tunnel" (D’Ettoris Editori) mostra che gli adolescenti tra i 12 e i 17 anni sono i maggiori fruitori di pornografia online che, tra l’altro, gioca negli Usa un ruolo perfino nel 56% dei divorzi. La maggior parte dei molestatori sessuali ha iniziato con la pornodipendenza che sta crescendo anche tra le femmine. Soprattutto, essa produce effetti sulla chimica del cervello, proprio come alcol, gioco, sigarette e droga, ma non è proibita, né tassata e nemmeno si consapevolizzano i fruitori con scritte del tipo ”attenti, può creare dipendenza (o assuefazione)”.

In un paese a crescita sottozero come il nostro, è interessante come, stando dalle ricerche, la pornografia online porti gli uomini a dare minor valore alla fedeltà sessuale e maggiore al sesso occasionale con conseguente decadimento della prospettiva matrimoniale-familiare. La distorta dimensione della sessualità crea danni all’interno della coppia, anzi produce cambiamenti nel cervello maschile che lo rendono meno sensibile al piacere con una donna in carne ed ossa. Proprio di questi giorni, una ricerca dell'Associazione europea di urologia secondo cui più video porno si guardano, più si rischia di fare flop nella vita reale con problemi di erezione e calo del desiderio. Del resto, non ci vuole una laurea per intuire che se uno è abituato a visionare le prodezze di pornoattrici 25enni, magari avrà qualche difficoltà con la consorte attempatella, dopo 20 anni di matrimonio.

E mentre questa realtà corruttiva avanza senza controllo nelle case di tutti e negli smartphone dei nostri ragazzi, i “vaghi dami in seta ed in merletti” del salottino radical scatenano mille “battaglie” sull’apprezzamento “sessista” di un allenatore, sulla barzelletta osé di Berlusconi, sull’asterisco alla fine delle parole e su mille altre inutili sciocchezze. Evidentemente sono così casti e puri da non aver mai cliccato su un sito porno, senza assistere alla degradazione di quei corpi femminili.

Se è vero che le “attrici” si prestano volontariamente, chissà se i nostri benpensanti si sono chiesti che  idea della sessualità si possa produrre nella mente di un ragazzo. In Nuova Zelanda se ne sono accorti e il governo ha lanciato una campagna, “Keep it real”, per proteggere i ragazzini da questi contenuti. 

Per quanto i grandi network della pornografia si mantengano entro i limiti della legge, come si fa a prevedere dove porterà, nei loro utenti, il meccanismo comprovato dell’assuefazione? Quando le combinazioni legali sono esaurite? Alcuni cosa potrebbero mettersi a cercare? Quante sono statisticamente le persone le cui parafilie nascoste potrebbero essere slatentizzate da questa macrodiffusione di pornografia gratis e superaccessibile?

Restiamo ai fatti: mentre case automobilistiche, di moda e festival cinematografici mostrano nelle loro reclame bambini seminudi in pose provocanti, il rapporto 2019 dell’associazione “Meter” denuncia il raddoppio in un anno del materiale pedopornografico segnalato (da 3 a 7 milioni di foto). L’aumento pauroso di questa parafilia (non è un “orientamento sessuale” come alcuni vogliono farci credere) è forse in parte collegata anche alla sparizione di minori, decuplicata in Italia negli ultimi in 10 anni.

Di metà luglio l’arresto di alcuni minorenni che trafficavano con video di neonati (!) torturati, stuprati e uccisi a pagamento sul deep web. Eppure, i media non approfondiscono le ragioni di questi inimmaginabili orrori e la politica se ne infischia. Forse è vero, allora, che il porno fa diventare ciechi.

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