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Raffaele Cadorna senior: il generale prudente ed energico che aprì la breccia di Porta Pia

Fu padre del Generalissimo Luigi e nonno di Raffaele jr. comandante nella guerra di liberazione

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Cadorna: il nome di una famiglia legata ad almeno un secolo di storia italiana di cui si ricorda soprattutto uno degli esponenti, quello del Generalissimo Luigi che fu Comandante supremo durante la Grande Guerra.

Purtroppo, una grossolana demonizzazione ideologica sedimentata nei decenni ha trasferito un’immagine stereotipata di questo grande stratega ammirato sia dai suoi nemici che dagli omologhi stranieri ed ancor oggi studiato nelle accademie militari americane.

Grazie anche alle recenti riedizioni critiche dei libri da lui scritti in autodifesa, presentate alla Sala Zuccari del Senato, la sua figura sta conoscendo, tuttavia, una fase di radicale rivalutazione storica.

Qui l’approfondimento.

Tuttavia, a ridosso dell’imminente 150° della Presa di Porta Pia vogliamo tratteggiare la figura di suo padre, il Generale Raffaele Cadorna senior (Milano, 9 febbraio 1815 – Roma, 6 febbraio 1897) che fu anche il nonno del generale Raffaele jr. comandante del Corpo Volontari della Libertà durante la Guerra di Liberazione. Fu Raffaele “il vecchio” a guidare, infatti, il IV Corpo d’Esercito alla presa di Roma.

La Rivista Militare (periodico dell’Esercito) di settembre ha raccolto - nel fascicolo storico allegato  per l’anniversario - le testimonianze dei pronipoti del generale, il conte Luigi e il colonnello Carlo, che hanno condiviso documenti inediti ed episodi tramandati in famiglia.

Il Generale Raffaele era quello che si potrebbe definire un “tecnico prudente ed energico”: prima al servizio del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia, era cadetto di un’antica famiglia nobile piemontese, di Pallanza, che però ancora non vantava il titolo comitale conferito poi dal Re proprio per la conquista di Roma.

Un giovane indisciplinato

Da ragazzo, Raffaele era di temperamento piuttosto esuberante, tanto che fu espulso per indisciplina due volte dall’Accademia Militare di Torino. Grazie anche all’intercessione del padre, stimato ufficiale, vi fu riammesso ed entrò in servizio presso il 1° reggimento della Brigata Savoia. Dopo una lunga gavetta, la sua carriera decollerà: egli, infatti, nasceva come ingegnere militare e i suoi progetti per fortezze e fortificazioni cominciarono ad essere presi sempre in maggior considerazione dallo Stato Maggiore. La sua competenza tecnica   nelle fortificazioni - che sarà provvidenzialmente ereditata dal figlio Luigi per munire la Linea del Piave - ebbe risvolti non solo nell’ingegneria militare, ma anche in quella civile. Non per nulla, il Generale progettò il cimitero comunale di Pallanza e restaurò l’antico castello di Brolio di proprietà dell’amico barone Bettino Ricasoli.

Un gustoso aneddoto

Nel ’48, raggiunto il grado di Maggiore, partecipava alla Prima Guerra d’Indipendenza e il 12 marzo dell’anno dopo, su incarico di Carlo Alberto, fu inviato dal Feldmaresciallo Radetzky per “denunciare” l’Armistizio di Salasco, ovvero per riprendere la guerra del Piemonte con l’Austria.

Racconta il Colonnello Carlo Cadorna che il suo bisnonno, per tentare di carpire qualche elemento utile dalle reazioni del Feldmaresciallo asburgico, finse di dimenticare il berretto nella sala dell’incontro. Ebbe modo, così, tornandovi, di sorprendere in riunione i generali avversari. Per quanto non fosse stato in grado di cogliere indizi di particolare rilevanza, l’episodio è significativo della determinazione e dell’acume dell’ufficiale.

La “Ridotta Cadorna” che salvò l’Europa

L’esperienza che maturò in Algeria a fianco dei francesi gli sarà preziosa durante la guerra di Crimea, quando partì al seguito del corpo di spedizione sardo comandato dal Generale Alfonso La Marmora. In quel contesto, racconta il Colonnello Carlo, Raffaele Cadorna notò che la testa di ponte francese predisposta a difendere il ponte di Traktir sulla destra del fiume Cernaia, era mal dislocata sul terreno. Da esperto geniere, di propria iniziativa fece scavare dai suoi uomini una trincea a zig–zag, a protezione dei francesi, per consentire l’incrocio dei fuochi. La “Ridotta Cadorna”, così chiamata, venne presidiata da tre compagnie del 16° reggimento di fanteria e da altrettante di bersaglieri. L’attacco russo avvenne su due colonne, una si infranse sulle trincee dei piemontesi che resistettero per un’ora ripiegando poi sul poggio. Questa posizione fu tenuta durante tutta la battaglia, ed ebbe un ruolo importante per il suo esito vittorioso. I giornali inglesi titolarono: “Il piccolo Piemonte ha salvato l’Europa”, ma, a quanto pare, il Generale La Marmora fece presto sparire questi giornali per non essere messo in ombra dal suo sottoposto.

Un cattolico alla conquista di Roma

A metà agosto del 1870, mentre volgevano al peggio le fortune di Napoleone III in guerra contro la Prussia e i suoi alleati, Raffaele Cadorna - che aveva più volte dimostrato di saper combinare la capacità militare con l’accortezza politica - ebbe il comando del Corpo di Spedizione ordinato dal governo Lanza–Sella per l’espugnazione di Roma e la debellatio dello Stato Pontificio tracciandone il piano il 1° settembre. Eppure, come ricorda lo storico del Risorgimento Aldo A. Mola: «Cattolico praticante, ma senza ostentazione – secondo la tradizione dell’aristocrazia subalpina – non era né anticlericale, né massone, a differenza del generale garibaldino Nino Bixio, prudenzialmente posto al comando della “retroguardia” dell’impresa proprio per non allarmare la Santa Sede».

La fine del potere secolare ecclesiastico

«Nella Storia – continua il Colonnello Carlo Cadorna – la strategia vincente è sempre stata quella che ha saputo combinare la realizzazione di rapporti di forza favorevoli, di preminente competenza militare, con la prudente ed accorta azione politica, sola responsabile nel decidere il come ed il quando. Il Papa Leone I, fermando Attila con la sua ieratica figura, aveva consentito alla Chiesa Cattolica di sostituirsi all’Impero Romano nella difesa della civiltà mediterranea: da allora essa si avvalse, in modo preponderante, della facoltà di mettere le case regnanti al suo servizio mediante la concessione del diritto divino ad esercitare il potere. Tuttavia, la Rivoluzione francese e Napoleone Bonaparte rovesciarono questo rapporto mettendo, piuttosto, il Papa al proprio servizio ed introducendo i principi laici. Proprio sulla perdita di consistenza e giustificazione storica del potere temporale dei papi si basò quindi la politica di Cavour, volta ad orientare l’opinione politica europea verso la separazione del potere temporale da quello spirituale. Venuto a mancare Cavour nel 1861, la sua politica fu ben interpretata da Giovanni Lanza che, con prudenza ed accortezza, attese che si creassero le condizioni non solo storiche, ma anche politiche e militari, perché il Papa dovesse prenderne atto”.

La strategia impiegata

La caduta di Napoleone III, sconfitto a Sedan, (2 settembre 1870) offrì l’occasione per l’applicazione del disegno. Il Generale Raffaele Cadorna dovette quindi conciliare la superiorità militare – che gli consentiva di entrare in Roma e convincere il Papa a desistere – con la moderazione politica. Questa esigeva che il risultato fosse ottenuto velocemente (vi era stato un precedente negativo con la Repubblica Romana nel 1849) e con pochissime perdite nell’Esercito Pontificio. Non restava quindi che l’arma della sorpresa: impedire, cioè, ai papalini di comprendere fino all’ultimo dove si sarebbe compiuto lo sforzo principale. Furono perciò disposte tutt’attorno alle Mura Aureliane le cinque divisioni disponibili, lasciando all’artiglieria della 12ª il compito di aprire la breccia di Porta Pia che, stando ai telegrammi inviati da Cadorna al Governo, sarà attuato in quattro ore, nella mattina del 20 settembre 1870.

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