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Il primo pilota militare nero del mondo era italiano e... fascista. Basta mistificazioni ideologiche

Storici orientati e giornali mainstream tentano di farlo passare per “vittima di discriminazione razziale”

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Leggendo tra le pieghe della vulgata storiografica, ogni tanto spuntano fuori personaggi che creano dei veri cortocircuiti  mandando in tilt l’intero sistema. Uno di questi è Domenico Mondelli, nato Wolde Selassie, primo pilota militare di colore del mondo. Come mai questo afro-italiano, con due Medaglie d’Argento e due di Bronzo al Valor Militare, è così poco noto? Eppure, dovrebbe essere un orgoglio nazionale dato che, all’epoca, negli altri paesi, ai neri era preclusa l’aeronautica in quanto ritenuti “incapaci di gestire l’emotività”. 

L’unica monografia dedicatagli è del sociologo de “La Sapienza” Mauro Valeri, già direttore dell’Osservatorio nazionale sulla xenofobia, che nel 2016 pubblica per Odradek edizioni “Il Generale nero”, un libro pesantemente ideologico, ricco di afflati deamicisiani, dove gli stessi dati riportati contraddicono, tuttavia, ciò che l’autore vuole dimostrare a tutti i costi, ovvero che Domenico avesse subìto discriminazioni razziali.

Era il 5 aprile 1891 quando il parmense capitano di fanteria Attilio Mondelli, sulla strada per Adua, raccoglie un bimbo etiope orfano di 4 anni, Wolde, salvandolo da morte certa. Diventa suo tutore, gli dà il nome di Domenico (forse dal giorno in cui lo ha trovato) e, una volta adolescente, lo iscrive al Collegio militare di Roma.

Il ragazzo è “nero come il carbone” e non somiglia affatto ad Attilio, confermando perché entrambi abbiano sempre parlato di adozione nonostante uno dei tanti certificati anagrafici scriva di paternità. Domenico primeggia fra i cadetti e, nel 1904, viene assegnato ai Bersaglieri. Nel 1912, entra nella Massoneria, loggia di Palermo del Grande Oriente d’Italia. L’anno dopo è nel Corpo Aeronautico, tra i pochi piloti militari italiani: è il primo di colore al mondo “ben prima dell’afroturco Celikten, dell’afroamericano Ballard e dell’afroinglese Clarke”. L’ambiente militare lo valorizza – ammette, a malincuore, Valeri - e, nella buona società, è ricercato e passa come un vero tombeur de femmes. Allo scoppio della Grande Guerra, alla cloche di un caccia Nieuport Ni. 80 compie azioni di ricognizione e bombardamento; si guadagna la prima medaglia di bronzo, così come altri ufficiali neri del Regio Esercito. Nel ’17, forse per aver involontariamente  bombardato truppe italiane, o per aver amoreggiato con qualche moglie o figlia di superiori, viene spedito in trincea. Lui si distingue prima fra i Bersaglieri e poi come ardito, alla testa del IX Reparto d’Assalto.

Scriveva Paolo Caccia Dominioni: “Sulla nostra destra, il negro meraviglioso (sic) ha sfondato le linee nemiche…”. “E ‘ uno dei nostri ufficiali più amati – annotava Luigi Gasparotto – l’abissino negro, magro, ricciuto, dai denti candidi e dalla perfetta parlata italiana; odia la burocrazia e adora i Bersaglieri”.

(Come si nota, la parola "negro" in italiano non ha mai avuto significato dispregiativo).

Arrivano due medaglie d’argento (anche per una ferita all’occhio) e un’altra di bronzo, oltre alla croce di Cavaliere della Corona d’Italia. Fin qui, ZERO discriminazioni, dunque.

Ma è col Fascismo che, secondo l’autore, “arrivano i guai”. Dal 1925, il suo avanzamento al grado di colonnello subisce, infatti, uno stop: la legge Sanna imponeva una riduzione degli ufficiali superiori e le nuove norme per l’avanzamento richiedevano pubblicazioni scientifiche di cui Mondelli era privo. Del ’25, è anche la legge che rendeva incompatibile l’appartenenza alla Massoneria con l’impiego pubblico. Il provvedimento tendeva a evitare che, nelle Forze armate, un generale, ad esempio, prendesse ordini da un colonnello solo perché questi era più in alto nella gerarchia muratoria.

Secondo Valeri, l’ufficiale “sfidò Mussolini” con tre ricorsi al Ministero della Guerra, tutti vinti, peraltro, nel corso di vari anni. Mussolini, evidentemente, non se la prese poi troppo dato che il Ministero  conferì a Mondelli nomine, decorazioni e una ricca pensione, fino al ‘43.

Insomma, “discriminato come nero e come massone”, stando all’autore della biografia, Mondelli si dimette dall’Esercito e passa nella Riserva. Mauro Valeri però tralascia un dettaglio: il “moro” entra nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale fascista. Ma come, tutte quelle discriminazioni subìte dal Fascio e poi si arruola nelle CAMICIE NERE? La MVSN era, infatti, la quarta forza armata, (come oggi, ad esempio, i Carabinieri) e i suoi militari giuravano fedeltà al Duce, non solo al Re.

Mondelli entrò come console (colonnello) dato che nella Milizia si avanzava automaticamente di grado; poi divenne addirittura console generale (generale di brigata). Lo dimostrano due foto in divisa MVSN che Valeri spaccia per una riunione di ex-Arditi della Grande Guerra.

Conferma lo storico Pierluigi Romeo di Colloredo, studioso della Milizia: “L’ufficiale abissino porta la frangia del fez in avanti sul fregio da console generale, mentre i consoli che lo attorniano, la portano di lato. Del resto, prima della legge del ’25, almeno 23.000 fascisti erano massoni, in quanto eredi della tradizione risorgimentale, interventista e fiumana”.

In seguito il fenomeno rientrò, ma nella MVSN rimase, evidentemente, una certa tolleranza verso squadre e compassi.

Se Mondelli fosse stato bloccato nella carriera per via di una legge fascista antimassoneria (e non per la riduzione dei quadri), stupisce che si sia arruolato tra i suoi oppressori e, quand’anche si fosse trattato di una finzione opportunistica, (come ventila Valeri) non si spiega perché nel 1946, Domenico si candida con il partito di estrema destra GPISAM - Gruppo Politico Italiani di Sicilia, d‘Africa e del Mediterraneo” dell’intellettuale fascista Vittorio Ambrosini.

La MANIPOLAZIONE IDEOLOGICA del militare di colore è stata ripresa anche da Avvenire che, astutamente, rimuove in blocco la sua biografia dal ‘25 al ’59, così come altri quotidiani generalisti che, nel 2016, straparlavano di discriminazioni razziste sempre negate dallo stesso ufficiale.

Mondelli terminerà i suoi giorni nel 1974 col grado (massimo) di Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito: un altro primato per un militare afroitaliano.

Peccato che un eroe della Grande Guerra, un pilota simbolo di integrazione e orgoglio italiano a livello mondiale sia stato così sequestrato da una “memoria” adulterata che la dice lunga sulla storiografia tradizionale e sull’informazione asservita al pensiero unico.

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