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Papa Ratzinger, "la mia autorità finisce a quella soglia": perché poteva dichiarare "sede impedita"

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Ormai si è messo in moto un “chiarimento logico condiviso” per cui l’indagine sulla Declaratio di Papa Benedetto si nutre di contributi che arrivano dai lettori, sui social, in modo disparato: domande, contestazioni, commenti, post che a volte contengono vere e proprie illuminazioni.

Come avrete letto, nell’inchiesta c’è stata una svolta QUI  quando alcuni latinisti, interpretando appena diversamente la parola “vacet”, (in modo lecito) hanno consentito di leggere la Declaratio del 2013 non più come una rinuncia che i giuristi Acosta e Sànchez hanno spiegato essere giuridicamente invalida. Entrambi hanno utilizzato le stesse argomentazioni dei canonisti pro-Bergoglio Sciacca e Boni (che, pur sollecitati, non smentiscono) configurando questo schema:

1)  non esistono due papi, né il “papato allargato”

2)  il papa è uno solo,

3)  il papa emerito non esiste, (infatti stanno provvedendo ora, dopo 8 anni a dargli una giurisprudenza QUI)

4)  munus e ministerium non sono sinonimi in senso giuridico.

5)  Ratzinger ha usato munus in senso giuridico, senza mai aver rinunciato a questo

6) ha separato i due enti che però sono indivisibili nel caso del Papa,

7) ha rinunciato pure all’ente sbagliato, cioè il ministerium.

Per i dettagli QUI

Tutto quello che era canonicamente possibile per rendere nulla una rinuncia è stato fatto, senza citare il differimento con mancata ratifica QUI

Viceversa, la Declaratio può essere letta come una coerente dichiarazione di SEDE IMPEDITA: il canone 412 del Codice di Diritto Canonico recita infatti: “La sede episcopale si intende “impedita” se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare l'ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilitànon essendo in grado di comunicare nemmeno per LETTERA con i suoi diocesani”.

In pratica, da quanto abbiamo ricostruito, papa Benedetto, vescovo di Roma, non riusciva più a farsi obbedire e così ha rinunciato all’esercizio pratico del potere, il ministerium, lasciando la sede “libera”, “vuota” – e non “vacante”, come tradotto in senso giuridico dal Vaticano -  restando l’unico papa.

Proprio ieri, il latinista Prof. Alessandro Scali ci ha mandato uno studio, in supporto della tesi di sede impedita, dove si evince che DANTE, (quest’anno sono i 700 dalla morte) importa nell’italiano della Commedia, dal latino, il verbo vacare nel senso di sede “lasciata vuota” dal vero papa perché usurpata dal papa “indegno” Bonifacio VIII (nota 1).

Così, su Twitter, un utente ha chiesto: “Ma quale era il presupposto secondo cui Benedetto poteva dichiarare sede impedita? Io non lo ravviso”.

Intanto ricordiamo cosa Ratzinger confidò nel 2005 QUI   a  Mons. Fellay della Comunità S. Pio X, il quale, durante un'udienza, ricordava al Papa di essere in possesso dell'autorità per rimettere le cose in ordine nella Chiesa su tutti i fronti. E Benedetto rispose così: «La mia autorità finisce a quella porta». E questo avveniva a Castel Gandolfo già nell’agosto 2005.

Il mite, anziano Joseph Ratzinger fin dall’inizio del suo pontificato ha avuto enormi problemi nel farsi obbedire, tanto che non poté neppure imporre la frase “versato per noi e per molti” nel canone della Messa, versione filologica dal latino “pro multis”, più corretta anche dal punto di vista teologico. Sembrava essere largamente impedito già allora ad ESERCITARE l’ufficio pastorale e questo dipendeva anche da una fragilità dovuta ai suoi 86 anni.

Non lo diciamo noi, ma lui stesso nella Declaratio del 2013: “… sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per ESERCITARE in modo adeguato il ministero petrino […] per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministerium (esercizio pratico) a me affidato”.

“Del resto - spiega il Prof. Antonio Sànchez, ordinario di diritto dell’Università di Siviglia - l'inabilità fisica non è un motivo per rinunciare al mantenimento del papato: Giovanni Paolo II governò fino agli ultimi stadi della sua malattia”.

Ovvero: un papa anche se debole e anziano, purché obbedito disciplinatamente dai suoi vescovi, può continuare tranquillamente ad essere papa. Invece, una debolezza fisica, o nervosa può essere un problema per esercitare il ministerium ed evitare di “farsi impedire”.

Si potrebbe parlare anche di una inabilità giuridica nel senso che il collegialismo che, da dopo il Concilio Vaticano II ha distrutto l’impianto monarchico-piramidale della Chiesa, ha investito il Segretario di Stato, in qualità di Primo Ministro della Chiesa legislativa, del controllo quasi totale sul flusso della legislazione e di altre informazioni provenienti dal Vaticano, compresi gli atti stessi del Papa stesso. 

Ma un FATTO CHIARISSIMO risale al maggio 2012,  quando scoppiò lo scandalo Vatileaks:  il maggiordomo del papa, Paolo Gabriele (poi graziato in dicembre e lasciato a piede libero) aveva trafugato e fotocopiato LETTERE segrete e riservate di Benedetto XVI con cardinali, giornalisti, politici, vip etc. Tra quelle ecclesiastiche, una del card. Tettamanzi dove accusava il card. Bertone di dare ordini a nome di Benedetto senza che il Papa ne fosse neppure informato, poi quella inviata dal card. Nicora al Presidente dello Ior Gotti Tedeschi dove lo informava del cambio legge antiriciclaggio operato dal card. Bertone e quella di Mons. Viganò a Benedetto dove l’arcivescovo faceva duri riferimenti al card. Bertone. Tutti documenti che parlavano di uno strapotere del Segretario di Stato, come sopra, e quindi forse della inabilità giuridisdizionale di cui sopra.

Fatto sta che molti di questi carteggi furono poi pubblicati da Gianluigi Nuzzi in un libro.

Ed ecco che rientra in pieno il quarto motivo secondo cui la sede può essere dichiarata impedita: QUANDO IL VESCOVO NON È IN GRADO DI COMUNICARE NEMMENO PER LETTERA CON I SUOI DIOCESANI, in questo caso tutto il cattolicesimo universale.

Considerato che la sua posta non era più privata, ma era stata trafugata, fotocopiata,  divulgata, poi data alle stampe, il Papa avrebbe ben potuto dichiarare la sede impedita pur non essendo prigioniero, o esiliato, ma probabilmente inabile (fisicamente e quanto all’esercizio della sua giurisdizione) e soprattutto impossibilitato a comunicare, anche per lettera.

Poi, se c’è altro, bisognerebbe chiederlo al Santo Padre.

 

     (Nota 1)

Sul significato del termine "VACET"  nella "Declaratio" di papa Benedetto XVI.

Dall'articolo del dott. Andrea Cionci, pubblicato sul suo blog il 18/VIII/2021, apprendiamo che un team di professori - i cui nomi egli cita -  ha approfondito lo studio della 'strana' (per sequenze di improbabili errori) DECLARATIO di Benedetto XVI, giungendo alla convinzione che, in sede di storia linguistica, il significato della voce latina VACET (congiuntivo presente del verbo VACARE) in quel documento deve essere interpretato nel senso non di una rinuncia del Pontefice al Suo mandato, ma come dichiarazione di "SEDE IMPEDITA", sia pure espressa in un linguaggio capzioso e allusivo.

Gli studiosi sono giunti a siffatta interpretazione risalendo al significato proprio ed originale del latino VACARE, da intendere come "esser vuoto, esser libero," in genere riferito a una carica o ufficio che è, o si è reso, libero, -'vuoto'-, e perciò di un potere non operativo.

Dall' "essere vuoto" si perviene alla nozione di "SEDE IMPEDITA" in virtù di una rigorosa ricostruzione storico-biografica, messa a punto dai medesimi studiosi, sulla fattuale situazione in cui Benedetto XVI si venne a trovare, trafitto da scandali e accuse infamanti, mentre nel tempo venivano a luce dubbi sull'elezione di Bergoglio, a cura di Antonio Socci, e, contestualmente, emergevano presso altri professionisti acute osservazioni sul testo della Declaratio.

Ad avallare codesta nuova interpretazione e il clamoroso risultato oggi raggiunto da quel team, che mette una parola ultimativa sulla vexata quaestio imperniata su rinuncia vera o fittizia e, nella scia, chi sia il vero papa e chi il facente funzione (parziale), non sarà inutile  introdurre una convalida di quella lettura attraverso alcune testimonianze dantesche, sapendo peraltro che il verbo VACARE è un latinismo introdotto da Dante nella lingua volgare con forte continuità semantica, come emerge dall'uso che il Poeta ne fa sia nelle sue opere latine che nella Commedia, dove appare quattro volte. Fatto presente che -in ciascun caso- se ne conferma il preciso uso dantesco all'interno della detta area semantica, i luoghi che meglio si propongono, per evidenze analogiche, con le circostanze della DECLARATIO, muovono dal XXVII e dal XVI del Paradiso (rispettivamente versi 22/24 e 112/114):

Quelli che usurpa in terra il luogo mio,

il luogo mio, il luogo mio, che VACA

nella presenza del Figliuol di Dio...

 Dall'ottavo Cielo s. Pietro lancia una sanguinosa invettiva con obiettivo specifico Bonifacio VIII, per la quale detto papa viene informato con parole di fuoco dal Primo Vicario che "il luogo mio", il soglio di Pietro, è "vuoto" agl'occhi del Figlio Dio, in quanto quel papa si è auto-destituito per indegnità. Balza agl'occhi la forte simmetria tra le due situazioni: da una parte c'è la completa ASSENZA -agl'occhi di Dio- di un Ufficio (in realtà: dell'intero vicariato di Christus Sacerdos) conseguente ad un'involontaria auto-destituzione per colpa grave; dall'altra, l'ASSENZA viene agita come effetto di un'auto-destituzione - volontaria sì, ma sub cultro - estorta attraverso il forzato impedimento del libero esercizio dell'Ufficio (nella fattispecie, del Ministerium: si ricordi in tal senso anche il paralizzante blocco dei movimenti finanziari inflitto al Vaticano). E ancora: nel primo caso, per l'infernale devianza di un papa; nel secondo, per l'infernale pressione, anche curiale, SUL papa.

In ambedue le contingenze, il valore da attribuire a quel verbo è limpido.

L'altra occorrenza offerta da Dante, forse ancora più diretta della prima, ci proietta nel marziale quinto Cielo, nel quale il trisavolo del Poeta, Cacciaguida, nel ricordare al nipote le virtù civili in cui l'antica Fiorenza fioriva, trova il modo di censurare le più recenti cattive abitudini dei nuovi chierici del vescovado cittadino: (Pd.XVI, 112 / 114)

Così facieno i padri di coloro

che, sempre che la vostra chiesa vaca,

si fanno grassi stando a consistoro.

Chiarito che con "i padri" Cacciaguida allude alla generazione del suo tempo e alla di lei correttezza (l'antica abstinentia), e che con "coloro" indica i figli e nipoti degeneri, ne viene che in ASSENZA  del vescovo legittimo, si costituisce pro tempore in quella città un consesso di ecclesiastici assai più versati nel bene privato che in quello pubblico: in quell'ASSENZA, che bene in italiano si dice vacanza, si compendia quel vuoto di potere....mal vicariato, e perciò sanzionato.

Alla luce di tali evidenze, il cui valore risiede nel fatto che ci troviamo in presenza, come sopra osservato, del primo ingresso nella nostra lingua di un termine che mantiene identico significante e significato nelle due aree, trova conferma la rigorosa ricostruzione eseguita dagli studiosi, autori della brillante ricerca.

PROF. ALESSANDRO SCALI

*Docente (ora a riposo) nei licei, formatosi a Roma al S. Maria e poi alla scuola di Paratore, Pagliaro, Brelich. Autore di ‘Dante, pietra d'inciampo, Ed. Il Cinabro, Catania 2008’, ha curato e commentato l’edizione degli scritti sull’Alighieri, di Guido de Giorgio, dal titolo ‘Studi danteschi’, pubblicato nel 2017sempre per i tipi de ‘Il Cinabro’. Aggregato del Sodalitium equitum deiparae miseris succurrentis

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