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Filippo Severati, l'alchimista della pittura eterna su lava

Riscoperti i suoi segreti presso l'Archivio di Stato di Roma

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Alla fine ci siamo arrivati: un paio di mesi fa è stata venduta una “scultura invisibile” per 15mila euro. Del resto, era l’inevitabile corollario di una concezione relativistica del bello: quando basta la “trovata”, la provocazione e la novità a tutti i costi, è normale giungere all’impostura.

Consoliamoci con la vera Arte, riscoprendo uno straordinario pittore-alchimista dell’800 che aveva trovato il segreto della pittura immortale. Riusciamo a immaginare un dipinto ad olio che possa resistere all’aperto per secoli, così come un’architettura o una scultura in marmo? Filippo Severati (Roma, 1819 – 1892) vi riuscì in pieno: abbiamo recuperato i suoi segreti presso l’Archivio di Stato di Roma. Questo artista dalla mano delicatissima aveva scoperto il metodo di rendere eterni i suoi ritratti dipingendo su lastre di lava smaltata cotta al forno. In tal modo, la pittura poteva essere esposta all’aperto resistendo a sole, acqua, pioggia, nei secoli.

Con una certa emozione abbiamo aperto una lettera del 31 dicembre 1851 dove Severati illustrava a S.S. papa Pio IX il suo procedimento: dopo aver smaltato di bianco una lastra di lava con ossido di stagno, tracciava il disegno e procedeva a stendere i colori, speciali, acquistati in Francia, diluiti con olio di lavanda. “Fatta in tal modo la pittura, dovrà cuocersi in una muffola di terra refrattaria riscaldandola in un fornello con carbone commune o legna fino al calore rosso ciriege. L’opera non si compie mai alla prima cocitura, ma bensì deve essere riparata dai guasti fatti dal fuoco col tornare a dipingervi e quindi ricuocere”…

Spiega il fotografo e ceramista Claudio Pisani che, dal 1983, studia con passione questo pittore e le sue tecniche: “Erano necessarie varie cotture, con temperature via via inferiori. In tal modo, la cristallina che veniva stesa sulla lastra di lava (molto più resistente della porcellana) imprigionava i pigmenti in una sostanza vetrosa, rendendola incorruttibile”.

I lavori di Severati furono apprezzati moltissimo da Pio IX durante la cerimonia del Bacio della sacra pantofola e il papa lo spinse a brevettare tale procedimento. Tuttavia, come si legge nelle lettere di supplica dell’artista al Camerlengo, le sue magre finanze non gli permettevano di pagare la tassa necessaria e pertanto il buon Pio IX lo esonerò. Con la Presa di Porta Pia, il povero Severati cadde in disgrazia: essendo papalino, il nuovo governo savoiardo non lo prese a ben volere ed egli sopravvisse come apprezzato esecutore di ritratti che venivano montati sui sepolcri del Verano. Nonostante ne abbiano rubati parecchi, ancor oggi passeggiando per lo storico cimitero capitolino, si incontrano tanti volti di signori, dame e, purtroppo, bambini, dai colori ancora freschi e splendenti nonostante siano rimasti all’aperto per oltre un secolo e mezzo.

Uno dei più belli è quello della contessa spoletina Anna Montani, sposa prematuramente defunta del nobile Luigi Cancani. I loro figli, consapevoli della qualità del lavoro, lo staccarono, qualche anno dopo, dal sepolcro di famiglia per custodirlo in casa e ancora oggi appartiene ai discendenti, splendidamente intonso, come fosse appena uscito dall’ultima cottura. Il delicato e pallido volto della nobildonna è impreziosito da un merletto squisito reso con minuscole e perfette pennellate. Nonostante la delicatezza del soggetto, l’opera è di massiccia resistenza fisica.

Una tale tecnica, infinitamente più durevole dell’affresco e della maiolica, meriterebbe una grande rivalutazione. In questa direzione si è mosso il prof. Domenico Boscia, artista siciliano che ha ripreso la pittura su lava per alcune commissioni pubbliche: “Questa tecnica – spiega - era stata inventata in Francia per decorazioni Art Nouveau, come targhe e cartelli della metropolitana. Severati fu il primo che la utilizzò mettendola al servizio della grande pittura. Peraltro, la cottura espande leggermente il colore creando un effetto sfumato quasi fotografico. La sua innovazione fu straordinaria per l’epoca, dato che non esisteva ancora nulla di simile”.

Nonostante i suoi meriti, Severati ancora non è stato ben compreso dalla critica contemporanea. Non gli ha giovato essere passato alla storia come “il pittore del Verano”, ma soprattutto, come avviene per molti pittori dell’800, si tende a considerare “accademica” (come se fosse un demerito) la sua tecnica eccellente e la perfezione delle sue opere.  

Eppure basta chiedersi solo una cosa: quanti pittori contemporanei, oggi, saprebbero dipingere come lui?

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