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Don Ariel ci attacca: "Ebete, asino, faccia da becchino". Ma contraddice il canonista vaticano

L'ennesimo, tragicomico autogol dei pasdaran bergogliani

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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E’ davvero notevole constatare come tratto “dialettico” tipico dei tifosi bergogliani sia l’insulto personale, l’irrisione sul fisico, l’incontinenza verbale, la boria sprezzante, accostati a un coraggio non esattamente “da leoni”. L’ex-prete Gianni Gennari di Avvenire ci diede dei “pazzi imbecilliQUI, salvo poi, sparire di fronte alla nostra pacifica volontà di collaborare  per fare luce sulle “dimissioni” di Benedetto XVI; un collega vaticanista ci diede degli “idiotiQUI, celandosi però dietro un “indecifrabilissimo” pseudonimo: “BlogGiornLN”. (Chi sarà mai?)

Entra oggi in collezione un colorito scritto  QUI di Don Ariel Levi di Gualdo, un sacerdote della neo-chiesa confusamente lacerato fra tradizione e modernismo, che parla sempre di donne e bullizza ossessivamente Don Minutella.

Don Ariel è spesso soggetto a intemperanze verbali piuttosto imprudenti: erano due anni che, in previsione di un suo exploit, annotavamo i suoi commenti pubblicati su un gruppo social cattomodernista (da dove poi si tirò tardivamente fuori) nel quale si sbeffeggia “Lama-donna” e la messa in latino.

Tuttavia, citiamo solo gli epiteti con cui ci gratifica: “giornalista ebete”, “squilibrato irrazionale” (al sottoscritto), “faccia da becchino depresso”, (rivolto al nostro Direttore Sallusti), “asino” a Don Minutella, mentre il nostro giornale – al quale, secondo lui, si dovrebbe preferire Il Manifesto - è definito "libera carta igienica" e dovrebbe fungere da “fondo per il cesto dell’umido”.  

Quando abbiamo inviato un’email a Don Ariel, chiedendogli rispettosamente se con "ebete" si riferisse allo scrivente, dato che non ne aveva fatto esplicitamente nome e cognome, il sacerdote  ha eluso con furbizia la domanda citando una storiella con protagonista un’autodichiarata “put**na”.

A posto così. Ora, dato che gli insulti del reverendo ci turbano quanto lo zampettare degli uccellini sul dorso dei rinoceronti, lasciamo stare le forme ed entriamo nel merito. Con “zoliano” spirito da naturalisti, verifichiamo ancora una volta come la partigianeria bergogliana conduca sovente a tragicomici autogol.

A tal proposito, don Levi, con le sue argomentazioni, entra in pieno conflitto, molto prima che con  lo scrivente, con le affermazioni di un suo autorevole superiore, il vescovo Mons. Giuseppe Sciacca, Segretario della Segnatura Apostolica e primo canonista del Vaticano, nonché della prof. Geraldina Boni, docente di Diritto canonico all’Università di Bologna, i principali legittimisti di Bergoglio.

In sostanza, Don Levi sostiene che Benedetto XVI ha rinunciato al ministerium di papa, ma ha mantenuto il munus da vescovo. Sbagliato, perché, per il papa, munus e ministerium sono INSEPARABILI, come spiegava QUI lo stesso Mons. Sciacca all’attuale capo ufficio stampa vaticano Andrea Tornielli. Don Ariel dice poi che non è vero che la rinuncia è invalida perché fatta sotto pressione, in quanto Benedetto XVI stesso ha dichiarato di averla fatta liberamente. Altra argomentazione inutile: ciò che viene contestato sul canone 332.2 non è la libertà dell’atto, ma il fatto che in esso venga esplicitamente richiesta la rinuncia al MUNUS petrino, mentre papa Ratzinger, come stra-noto, ha annunciato di voler rinunciare al solo ministerium, differendo il provvedimento, senza mai ratificarlo.

La questione della Mafia di San Gallo è da noi citata, poi, NON come definitiva prova canonica dell’invalidità dell’elezione di Bergoglio, ma come contingenza per giustificare la libera scelta di papa Ratzinger di applicare un Piano B da lungo tempo preparato QUI .

Benedetto XVI, l’11 febbraio 2013, ha così salvato e purificato la Chiesa - anche dai vari don Ariel - con una Declaratio che annunciava candidamente (ma non giuridicamente) l’autoesilio in sede impedita, status in cui egli poteva restare quell’unico papa di cui parla sempre senza mai specificare quale sia: un “indovinello” che, come abbiamo sperimentato, anche con la conferma di un autorevole pedagogista, è comprensibile da un BAMBINO di OTTO ANNI.

Una Declaratio, dunque, che solo “gli altri” hanno voluto interpretare (manipolandola nelle traduzioni) come un rinuncia, pur avendo avuto 17 giorni per riflettervi. Questo ha poi confermato il papa nell’impedimento, autorizzandolo del tutto a stare al gioco e conducendolo a comunicare, per otto anni, la sua situazione canonica in modo sottilmente allusivo  con l’ormai stra-noto e “certificato” Codice Ratzinger QUI. (Egli infatti non può parlare “in chiaro” proprio per non far decadere la sede impedita, situazione in cui  si è impossibilitati a comunicare),

L’argomentazione di Don Levi, costellata da imbarazzanti conati pieni di odio e disprezzo, si evidenzia quindi come un pasticcio artatamente strumentale fra considerazioni laterali e travisamenti canonici.

Per suo beneficio, gli offriamo la lettura di quanto scrivono i citati canonisti legittimisti di Bergoglio che non solo smentiscono le sue affermazioni, ma offrono essi stessi dimostrazione della totale invalidità della Declaratio  di Benedetto XVI intesa come abdicazione. E quindi, dell’automatico antipapato di Francesco.

Come leggerete, proprio dalle affermazioni pubblicate di Mons. Sciacca e Prof. Boni, abbiamo che:

1)  non esistono due papi, né il “papato allargato”

2)  il papa è uno solo,

3)  il papa emerito non esiste,

4)  munus e ministerium non sono sinonimi in senso giuridico.

5)  papa Ratzinger ha usato munus in senso giuridico, senza mai aver rinunciato a questo

6) ha separato i due enti che però sono inseparabili nel caso del Papa,

7) ha dichiarato di voler rinunciare pure all’ente sbagliato, cioè il ministerium,

8) ha differito l'entrata in vigore del provvedimento, cosa impossibile tanto per l'elezione quanto per la rinuncia, che devono essere entrambe simultanee dato che il munus lo conferisce (o lo ritira) Dio in persona.

Riportiamo tutta l’argomentazione da un precedente articolo QUI

1) IL “PAPA EMERITO” NON ESISTE

“Ho letto – spiega il prof. Sànchez, giurista dell’Università di Siviglia – un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli da Mons. Giuseppe Sciacca QUI  

Innanzitutto, lo stesso Monsignor Sciacca, ammette che l’istituto del “papa emerito” non esiste: «E’ un esercizio non individuato  mai definito in alcun documento dottrinale», e  ancora:  «(L’emeritato) non può essere riferito all’ufficio del Pontefice». Su questo sono tutti d’accordo, anche i canonisti Boni, Fantappié, Margiotta-Broglio, lo storico de Mattei e altri”.

2) IL “PAPATO ALLARGATO” NON ESISTE E IL PAPA PUO’ ESSERE SOLO UNO

“Ammette poi Mons. Sciacca – prosegue Sànchez – che non c’è nemmeno un “papato allargato” dove Benedetto XVI potrebbe mantenere il munus e Francesco il ministerium. Solo UNO può essere papa, mai due contemporaneamente: è vero ed è conforme al diritto canonico e alla tradizione. Non ci sono, quindi, due papi: uno attivo e l’altro passivo, non esiste un “papato allargato”, a due teste”.

Infatti, aggiungiamo noi, anche papa Benedetto XVI ripete da otto anni che IL PAPA È SOLO UNO (senza però mai spiegare quale dei due)  QUI .

3) IL PAPA NON PUO’ SEPARARE MUNUS MINISTERIUM

“Eppure – commenta Sànchez – la conclusione che il vescovo Sciacca ne trae è che il papa sia, quindi, soltanto Jorge Mario Bergoglio, eletto papa nel conclave del 13 marzo 2013.

Questo è un ERRORE drammatico: affinché un pontefice sia eletto validamente, il papa precedente deve essere MORTO o aver ABDICATO validamente. E Benedetto non ha abdicato ESATTAMENTE per quanto dichiarato da Mons. Sciacca a Tornielli, ovvero che (per il papa) il munus e il ministerium sono inseparabili: «Il fatto che il Codice di diritto canonico, al canone 332, parli di munus petrinum – scrive Mons. Sciacca – non può in alcun modo essere interpretato come una volontà del legislatore di introdurre, in materia di diritto divino, una distinzione tra munus e ministerium petrino. Distinzione che peraltro è impossibile».

4) BENEDETTO HA INVECE SEPARATO E DISTINTO MUNUS MINISTERIUM

“Monsignor Sciacca ha ragione – prosegue Sànchez – quando dice che il papato non può essere diviso in munus ministerium. Una sola persona può mantenere entrambi in una volta: il papa.

E allora, come è possibile che Ratzinger li abbia invece distinti e separati, rinunciando al ministerium e non al munus?

Pertanto, la rinuncia di Benedetto XVI a una presunta parte del papato (il ministerium) e non dell’intero ufficio papale (il munus) NON È VALIDA perché la “Declaratio” come rinuncia commette un errore sostanziale, in quanto influisce sulla condizione “sine qua non” anteriore all’elezione papale: la costituzione di sede vacante. Lo dice il canone 126: «L’atto posto per ignoranza o per errore, che verta intorno a ciò che ne costituisce la sostanza, o che ricada nella condizione sine qua non, è nullo».

IN SINTESI: la rinuncia era invalida a causa di un errore sostanziale (separazione munus/ministerium) che  non poteva produrre una sede vacante e quindi, di conseguenza, il conclave del 2013 non poteva avere luogo e pertanto l´elezione di Jorge Mario Bergoglio è nulla.

5) MUNUS E MINISTERIUM SAREBBERO, DUNQUE, SINONIMI?

L’unica “scappatoia” che resta è che questo uso disinvolto di munus e ministerium da parte di Benedetto risponda a una questione puramente linguistica. Ovvero, Ratzinger avrebbe citato questi due enti “per non ripetere la stessa parola”, per un vezzo letterario, nonostante la catastrofe giuridica che avrebbe comportato. Vediamo se munus e ministerium possano essere sinonimi e che quindi uno possa valere l’altro.

6) BONI SPIEGA CHE NON SONO SINONIMI IN SENSO GIURIDICO

“La prof. Geraldina Boni – spiega l’avvocatessa Estefania Acosta –  sostiene, infatti, nel suo libro “Sopra una rinuncia” (2015), che a volte munus e ministerium sono stati indicati come sinonimi, per esempio nell’esortazione “Pastor Gregis” di Giovanni Paolo II del 2003.

Tuttavia, ammette lei stessa, questa sinonimia si verifica SOLO IN SENSO NON-GIURIDICO, cioè quando la parola munus è intesa nel senso di “funzione”, “compito”, “servizio” o “attività”, legata a una certa (indelebile) “qualificazione ontologica” determinata dal sacramento dell’Ordine. Invece, come ammette la stessa Boni (pp. 180-181), c’è un SECONDO SIGNIFICATO ATTRIBUIBILE ALLA PAROLA MUNUS, un significato non più ontologico o sacramentale ma piuttosto “GIURIDICO“, equivalente a “carica” e “pressoché equipollente a officium“, che risulta dal canone 145 del Codice di Diritto Canonico, che indica come ogni munus (o “carica”) stabilmente istituito per uno scopo spirituale dalla legge divina o ecclesiastica sia anche un “ufficio ecclesiastico” – naturalmente, il munus petrino, essendo stato stabilmente istituito per uno scopo spirituale dalla legge divina (Mt 16,18-19 e Gv 21,15-17), è anche un ufficio ecclesiastico.

Stando così le cose, si vede che, anche per Boni, QUESTO SECONDO SIGNIFICATO DELLA PAROLA MUNUS ROMPE OGNI POSSIBILE SINONIMIA CON LA PAROLA MINISTERIUM. Finora, niente da obiettare al professore”.

7) DUNQUE, PERCHE’ BONI DIFENDE LA LEGITTIMITA’ DI BERGOGLIO? L’ERRORE FINALE

“L’errore (grossolano) di Boni – prosegue Acosta – sta nell’affermare gratuitamente ed erroneamente che Benedetto XVI ha rinunciato al MUNUS proprio nel secondo significato giuridico, mentre il testo della Declaratio non afferma mai una cosa del genere. Scrive infatti la Prof. Boni: «Insomma, alla luce di QUESTA DUPLICE ACCEZIONE DI MUNUS, Ratzinger, con la sua Declaratio, potrebbe avere voluto solo rammentare, e non già ben’inteso determinare, come, DEPONENDO IL MUNUS QUALE UFFICIO, egli non si spogliasse del munus sacramentale (quello non giuridico n.d.r.)…».

E INVECE IL PAPA SI È PROPRIO ACCURATAMENTE ASTENUTO DAL RINUNCIARE AL MUNUS PETRINUM, rinunciando invece al MINISTERIUM: «…declaro me MINISTERIO Episcopi Romae … commisso renuntiare»!

IN SINTESI: la prof. Boni ammette che munus ministerium non sono affatto sinonimi in senso giuridico. Ammette che Ratzinger cita il munus in senso giuridico. Boni dice che Ratzinger ha rinunciato al munus giuridico, mantenendo il munus non giuridico, E NON E’ VERO perché egli ha rinunciato al ministerium.

Come si è visto, la Declaratio è una vera bomba atomica di invalidità canoniche:  c’è tutto quello che poteva esserci  per rendere invalida una rinuncia, persino l’uso degli inesistenti termini “Sede di Roma e Sede di San Pietro, come rilevato dall’avvocato Arthur Lambauer, senza parlare dei due noti gravi errori di latino e di altre 20 imperfezioni linguistiche notate dal filologo Wilfried Stroh.

Qualcuno citerà, la dottrina dell'Universalis Ecclesiae Adhaesio, l’accettazione della Chiesa universale che potrebbe sanare a posteriori un errore o una lacuna del provvedimento canonico dell'elezione del Papa, una volta cominciato, ma MAI la condizione precedente per l'avvio di quel provvedimento.

Cari saluti Don Ariel.

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