Cerca
Logo
Cerca
+

Effetto-Balducci, se il coronavirus ti fa riscoprire la bellezza della cronaca

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

Silvia Balducci, ovale preraffaelita ed eloquio spartano, è una brava e giovane inviata di RaiNews24, scuola Antonio Di Bella. L’altra notte la Silvia era di picchetto sul lato codognese del confine della Zona Rossa, a testimoniare la grama vita dei frontalieri lombardi imbrigliati nella quarantena.

Quando, dal grande – e stordente- flusso delle notizie sul Coronavirus di Che tempo che fa, Fabio Fazio l’ha evocata in collegamento, Balducci si è presentata con quella che lo scrittore viennese Alfred Polgar avrebbe chiamato una “piccola storia senza morale”. Con molta discrezione la collega ha avvicinato un tipo minuto, dotato di occhialoni telescopici e di un berretto rosso troppo grande: “il signor Donato Gamba”, un padre qualunque che, trascinando due sacchettoni dell’Ikea, portava “maglione e calze a mia figlia che abita a Codogno, cerco di farla star meglio…”. Balducci muoveva il microfono come una bacchetta d’orchestra, e l’ intervistato, timido fino all’osso, distillava sinfonie di tenerezza. “Ciao signora figlia, ti ho portato più cose che ho potuto”, diceva il signor Donato all’erede che basculava sulla linea di confine afferrando le masserizie, dinnanzi a due carabinieri in mascherina. Il quadretto ricordava le quarantene medievali, dove l’umanità perduta riemergeva sul crinale dei lazzaretti. A Fazio che gli chiedeva cosa provasse nel non poterla abbracciare, l’omarino rispondeva con una battuta: “Mia figlia ha 25 anni abita lì da un mese, spero di non diventare nonno prima del tempo, la base demografica potrebbe crescere”.

Poi, sempre su richiesta del conduttore (“Cosa hai imparato professionalmente da questa vicenda?”), interveniva la Silvia con una gentile risolutezza: “Qui noi giornalisti ci siamo scoperti più vulnerabili, ma mettiamo in campo le misure di sempre: l’accuratezza, il rigore. Mi ha colpito la reazione composta dei cittadini. Abbiamo imparato ad intervistarli a distanza, a non avvicinarci. Molti ci hanno detto dell’opportunità di questa situazione; riscoprire il valore del contato umano, della comunicazione mediata dal corpo, e qui a differenza di altre emergenze dove abbiamo visto ricostruire ponti o case, si tratterà di ricostruire la fiducia”. Ecco, credo che non ci sia nulla da commentare. Se non che non occorre essere corrispondenti di guerra per riuscire ad amare ancora questo mestiere…
 

Dai blog