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La vita di Donald Trump come "Quarto Potere"

Il documentario Netflix sull'inquilino delle Casa Bianca

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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In una scena, che muove perfino un’insolita tenerezza, un giovane imprenditore biondo dagli occhi cerulei e il cappotto di cammello che ha appena eretto un hotel extralusso nel cuore di Manhatthan risponde timidamente ad una giornalista che lo intervista sul successo. Ma, appena apre bocca, le sue parole sulle utopie realizzate dai più forti (“Chiunque può diventare qualsiasi cosa voglia se si impegna”) danno subito l’idea di un iceberg proiettato verso il Sogno americano.

L’imprenditore slavato e spietato è Donald Trump. E la scena scorre nella docuserie intitolata, appunto, Trump: un sogno americano - David Glover e Mark Raphael produttori esecutivi- che sta spopolando su Netflix. E che racconta, senza pregiudizi, l’epopea da american dream, del figlio di uno spietato palazzinaro del Bronx. Il quale, grazie alle sue visioni, prima s’inventa la Trump Tower, mega albergo che trasuda marketing e ricchezza prima ancora di essere costruito; e poi fallisce col Taj Mahal nel 1990, gigantesco casinò extralusso che in un solo giorno consuma in elettricità più di quanto incassi dalle slot e dai tavoli; e infine si risolleva attraverso un programma tv The Apprentice, che lo consacra  modello di successi e di eccessi fino alla sua candidatura “impossibile” alla Casa Bianca. Nel mezzo, nel racconto fatto di interviste, reportage, immagini di repertorio, fotografia e montaggi stellari, ecco emergere via via: l’incontro con wresler famosi  come Jesse Ventura, l’acquisto del motto reaganiano ““Make America great again”, le guerre con le ex mogli a botte di divorzio milionarie, gli accordi disattesi con politici in odore di corruzione, e New York che dall’alto dei suoi grattacieli osserva, non capisce ma si adegua all’irresistibile ascesa del futuro abitatore della Casa Bianca.

Questo nuovo racconto sul primo Trump non lo descrive un mostro spietato come avvenne, per esempio in TrumpLand, di Michael Moore di sicuro l’attacco più feroce subito dall’attuale presidente dopo i fumetti di Doonesbury. No. Qui banalmente, Trump è al di là del bene e del male: “Non conosce il concetto di morale”, dice un intervistato. Sicchè tutta la sua irresistibile cavalcata sembra davvero quella del Citizen Kane, il Quarto potere di Orson Welles (non a caso il film preferito di Donald): dove ti gusti incuriosito la trama, tanto sai che alla fine giudicherà la storia…

 

 

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