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Fauda e i suoi fratelli: se la striscia di Gaza si sposta in tv

Mentre infuria il nuovo conflitto arabo-israeliano, le serie televisive rincorrono guerra e bombardamenti

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Fauda Foto:  Fauda
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L’ultima battuta è stata di Benyamin Netanyahu, ma cinematograficamente sembrava John Wayne: “Avevo detto che avremmo colpito Hamas e gli altri gruppi terroristici con colpi significati ed è quello che stiamo facendo. E non è finita”.

Anzi, è solo cominciata. Mentre nella realtà infuriano i bombardamenti sulla striscia di Gaza, tra i razzi, i colpi di mortai e i morti ammazzati di Hamas e Israele, il piccolo schermo campa egregiamente sul conflitto rilanciando serie tv e ascolti.  Dal 14 maggio 1948, Dichiarazione d'indipendenza israeliana, la guerra scoppiata tra gli stati arabi e lo Stato di Israele arroventa lo scacchiere internazionale. Ed è da allora che, nei “territori occupati” ogni giorno diventa un plot cinematografico. Prendete la serie Fauda (in arabo "caos") in onda su Netflix: arrivata alla terza stagione, è la più vista persino dagli arabi, e narra di storie militari su arabi e israeliani, attraverso la sceneggiatura scritta e interpretata da Lior Raz, ex Mistararvim il corpo scelto dell’esercito israeliano i cui membri sono dediti al travestimento per imbucarsi nelle file nemiche. Nella prima stagione l’eroe, il comandante Doron Kabilio dà la caccia alla Pantera, superterrorista di Hamas; nella seconda insegue una cellula dell’Isis; nella terza entra sotto copertura a Gaza in un’escalation di azioni spietate per sottrarre a un ex capo del movimento Hamas, due ragazzi israeliani rapiti. Tutte le operazioni declinano, più o meno, sempre verso il burnout, un esaurimento nervoso dei protagonisti che sottilmente attraversa tutte le loro vite strappate alla guerra.

Altro prodotto seriale d’azione è Tehran, prima stagione su Netflix, con protagonista Tamar Rabinyan nata in Iran ma cresciuta in Israele e hacker informatica la quale, lavorando per il Mossad, viene affidata una missione pericolosa: tornare in Iran e manomettere la centrale nucleare iraniana. Poi c’è anche -su Sky ma targata Bbc- The Honourable Woman - Di Chi ti Puoi Fidare? con Maggie Gyllenhaal nel ruolo di Nessa Stein, anglo-israeliana che alla morte del padre, sionista industriale delle armi, riconverte le sue aziende per un progetto che favorisca il dialogo di pace. Atmosfere che si ritrovano anche nell’altro serial sempre Netflix The Spy ispirata dalla vera storia di Eli Cohen, semplice contabile arruolato dal Mossad, il servizio segreto israeliano per il quale si trasforma nell’islamico Kamal Amin Thabet, “magnate dell’industria tessile che vive a Buenos Aires, figlio di emigrati siriani, che sogna di tornare in Siria e supportare la causa del proprio Paese”. A parte la scena in cui gli cavano le unghie sotto tortura, il protagonista Sasha Baron Cohen in versione crepuscolare e spy-story è una rivelazione. Come lo è quest’intrigo internazionale che parte da Tel Aviv, passa per Zurigo e poi Buenos Aires, per arrivare alla fine a Damasco, rendendo un quadro vischioso della politica arabo-siriana. 

Invece, il mondo ebraico ultraortosso che inizia dai raid ai confini con Gerusalemme e arriva nel ventre nell’Intifada è tutto in Shtisel, serie amatissima in cui il rabbino capofamiglia veglia sull'intera comunità tra i quartieri di Mea Shearim e Goula impartendo lezioni quotidiane di Talmud e l’applicazione delle regole dell'haredi, quei precetti religiosi da rispettare dall’abbigliamento umile alla combinazione di matrimoni. Stessi temi, ma esportati in Usa per l’altro serial Unorthodox.

La suggestione dei temi dell’eterno conflitto religioso e la sua trasformazione in plot cinematografico riverbera anche in Messiah in cui un tizio che si crede Gesù si muove sulle alture del Golan. Mandato in onda in Francia, il serial viene accusato di “propaganda malefica e anti islamica” e diventa oggetto di boicottaggio; da noi, conquista una silenziosa platea. In realtà Messiah è un prodottino abbastanza avvincente: per le prime cinque puntate ti viene da chiederti se il Messiah sia o no un impostore. Nelle seconde cinque successive ti viene da chiedere perché non si sia candidato con Trump alle ultime presidenziali…

 

 

 

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