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Se la tv si dimentica di Giorgio Gaber

Piccolo schermo e teatro hanno dimenticato i 20 anni dalla morte del cantante milanese. Genio anarcoide, non apparteneva a nessuno e oggi solo pochi lo celebrano (su Youtube)

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Giorgio Gaber Foto:  Giorgio Gaber
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Forse Giorgio Gaber meritava di più. Forse per omaggiare i vent' anni dalla morte di quel pazzo di talento che rivoluzionò la stessa missione sociale dello spettacolo, per colui che è stato un po' il Pelé della canzone italiana (i fondamentali li aveva tutti: scrittura, voce, dribbling di poesia e rabone d'anarchia), be', forse si poteva fare di più.
Ci siamo dovuti accontentare di Tutto Gaber una seppur encomiabile maratona in streaming sul sito della Fondazione Gaber: un mélange sentimentale fatto di filmati unici di «apparizioni televisive della Svizzera italiana, con il Signor G, alle retrospettive registrate nel 1980 al Teatro Lirico (ora Teatro Lirico Giorgio Gaber), agli spettacoli degli Anni 80 e 90 nei più importanti teatri italiani, alla produzione video voluta dallo stesso Gaber e realizzata a Pietrasanta nel 1991». Tutto molto bello, per carità. C'è, perfino, nel racconto gaberiano on line, la benedizione della Rai che apre le sue teche ma non i suoi canali e della tv svizzera. Ma diciamo pure che non c'è quell'inondazione di speciali televisivi (di tutte le tv da Mediaset a La7, alla stessa tv di Stato), di dibattiti pubblici, di rassegne che ci saremmo aspettati. In realtà, ha ragione Sandro Luporini, l'alter ego di Gaber, quando dice «i ragazzi di oggi non ci conoscono, quelli della generazione che ha cinquant' anni sì».

UN PASSO AVANTI A TUTTI La fotografia plastica di quest'oblio diffuso su Gaber e sulla sua eredità culturale sta in un emblematico servizio della testata Fanpage.it dove in un montaggio divertito e sconsolato, alla domanda del cronista Luca Iavarone a mandrie di 15/20enni milanesi se conoscessero «l'intellettuale libero del teatro-canzone?», la risposta è stata una prateria di cristallina ignoranza. D'altronde cantava lo stesso Gaber «Giovani si fa per dire/Giovani, non tanto giovani/ allegri ragazzoni, senza offesa eroi di quell'età un po' vaga/ e anche un po' difettosa/ carichi di un potenziale che per adesso non si è ancora espresso/ in termini di doti straordinarie e anche di sesso». La spiegazione, forse, è che Gaber si è sempre trovato fuori sincrono, perché era sempre un passo avanti a tutti.
Sicché, in questo giorni di necessaria evocazione, dobbiamo accontentarci di Youtube come friabile ex voto di un anticonformista che aveva destrutturato sì la canzone romantica e swing (Non arrossire, Il Riccardo, Porta Romana, La ballata del Cerutti); ma pure aveva attraversato, con i suoi show, la storia d'Italia. Dalle illusioni del '68 al rapimento Moro, da Tangentopoli al berlusconismo, dalla caduta delle ideologie al prefigurarsi del populismo e del qualunquismo venato di reazione, dai drammi individuali all'incombere del consumismo fino all'ossessione dell'apparire e dei numeri come principale criterio di valutazione: gli spettacoli di teatro-canzone di Gaber e Luporini hanno indagato i temi più laceranti del dibattito pubblico senza alcuna concessione al facile consenso, distillando ironia e cultura come strumenti per esprimere liberamente il proprio pensiero, anche a costo di attirarsi critiche feroci. Cosa che ovviamente accadde.
Giorgio Gaberscik, nato nel 1939 a Milano, già grande musicista di stampo jazz con la passione degli chansonnier fu l'essenza dell'anticonformismo, il capobranco dei cani sciolti.
Soffriva le catalogazioni al punto di rompere con la tv sia per eludere le soggezioni politiche, sia per dedicarsi al contatto diretto col pubblico calcando il palco. I suoi esegeti affermano che Gaber non abbia mai fatto politica. Non è esatto. Non l'ha fatta in senso stretto. Ma se prendete i suoi anni artistici dal 1972 al '78 e ascoltate Dialogo tra un impegnato e un non so (contiene capolavori come Un'idea, La libertà) o l'intero Polli di allevamento o Quando e moda è moda dove sbeffeggia il movimento giovanile del '77 ; ecco, lì sentirete la lama sottile della satira infilarsi nella carne viva della politica. E se riprendete il Gaber, oramai affaticato, degli anni 2000, beh, gustatevi La mia generazione ha perso; o il patriottico Io non mi sento italiano («ma in fondo/ o per fortuna lo sono»); o Destra sinistra, Il conformista, Qualcuno era comunista; e capirete che la politica intesa nel senso etimologico di servizio ne ha sempre permeato il pensiero anarcoide.

PENSIERO ANARCOIDE E che fosse un pensiero fastidioso a sinistrapur proveniendo Gaber da quel mondo - sta nelle cose. Luca Canali sull'Unità scrisse del «triste tramonto di un menestrello», Giovanni Raboni sul Corrierone cercò di inquadrarlo nella nascente narrazione leghista; ed erano viste con sospetto alcune delle sue frequentazioni come quella di Vittorio Feltri, o di Berlusconi quando lo sondò per una candidatura (che poi toccò alla moglie, Ombretta Colli). Ma è proprio per questa capacità di dirigere il traffico delle idee sotto la sua ala liberal e il suo naso imponente, che Gaber merita l'attenzione dei più giovani. Non foss'anche che su Youtube. Mio figlio all'età di cinque anni mi chiese: «Papà ma è più forte Gaber o Iannacci?», mentre i suoi coetanei usciti dai film Marvel si domandavano chi menasse meglio tra Hulk o Thor. Non fui in grado di rispondergli. Ma non è un caso che nei suoi giri milanesi abbia tuttora una predilezione per Porta Romana o per il Bar del Giambellino... (e credo che Dalia Gaberscik, la figlia di Giorgio, ancora se ne ricordi)

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