Caos in aula

Donzelli, la Camera e la ballata dell'anarchia

Francesco Specchia

Giovanni Donzelli, toscanaccio, deputato in irresistibile ascesa, coordinatore di Fratelli d’Italia nonché vicepresidente del Copasir è noto per l’irruenza ironica, temperata da un’astuzia democristiana.
Proprio per questo stupisce assai la furia con cui, alla Camera davanti alle telecamere che lo riportavano all'Italia intera (ai tg non si parlava d'altro, per non dire di Rai Parlamento), mentre si discuteva l’istituzione della commissione Antimafia, Donzelli si sia lasciato invadere dal demone del massacro, direbbe Yasmina Reza. Donzelli ha preso la parola e, sulla vicenda dell’anarchico Cospito ha estratto il bazooka: «Cospito è un terrorista e lo rivendicava con orgoglio dal carcere. Dai documenti che si trovano al Ministero della Giustizia, Francesco Di Maio del clan dei casalesi diceva, incontrando Cospito: “Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato”, che sarebbe l’abolizione del 41 bis.
Cospito rispondeva: “Dev’essere una lotta contro il 41 bis».
Ma la vera fiammata è arrivata dopo: « ... Lo stesso giorno, il 12 gennaio 2023, mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Serracchiani, Verini, Lai e Orlando. Io voglio sapere se la sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi». Che è una roba bella tosta, un po’ una fucilata a freddo, in faccia ai colleghi della sinistra. Ovviamente l’Aula esplodeva in una bagarre terribile, spezzandosi in due fazioni. Volavano parole al napalm, tra gli scranni si distillava un odio antico. Il vicesegretario Pd Provenzano parlava di «vergogna indecorosa»; l’ex ministro Orlando evocava la «lesione dello Stato (sic)»; Bandino del Movimento 5 Stelle chiedeva le scuse di Donzelli: «Chiedere scusa è una prova di forza»; «non può uscire solo se chiede scusa”, ribatteva Bonelli dei Verdi. Perfino il forzista Mulè si sfilava dalla ventilata accusa di eversione diretta a quattro parlamentari della Repubblica.

E, infine, la Serracchiani, tirata in ballo, urlava: «Le parole di Donzelli che sono gravissime e hanno contenuto e carattere di rilevanza penale. Visto che Donzelli ha importanti ruoli istituzionali, ci chiediamo se questa sia la posizione del presidente Meloni. Chiediamo alla presidente Meloni di prendere una posizione chiara». Che, poi, quest’idea della Meloni che deve commentare ogni pensiero, opera o omissione dei suoi –parlamentari maggiorenni e vaccinati- sta diventando un refrain abbastanza orchitico. 

Il centrodestra –con un Matteo Salvini molto determinato- risultava comunque rocciosamente dalla parte di Donzelli.

Ora, parliamoci chiaro: a Giovanni è scappata la frizione. Non è la prima volta che accade tra i parlamentari di Fratelli d’Italia. Ma se l’irruenza è un atout invincibile quando sei all’opposizione, nel momento in cui –come ora- ti trovi finalmente al governo, dovresti evitare ogni sfondone e cappellata che possano riverberarsi sulla tua Presidente del Consiglio. Non è una questione di sostanza (la sostanza di cui sono fatti i dubbi legittimi di Donzelli su Cospito e il Pd), ma una questione di forma.

Tra l’altro, il solitamente strategico deputato meloniano, si è reso subito oggetto di un’altra accusa: come vicepresidente del Copasir, il comitato per la sicurezza pubblica, avrebbe avuto accesso a intercettazioni tra Cospito e i camorristi «sicuramente secretate, ha violato il segreto di Stato e non può più fare il vicepresidente», secondo l’ex magistrato Cafiero De Raho del M5S. Ovviamente è una fesseria: non c’è alcun documento secretato, ma al limite un fogliaccio della polizia penitenziaria pare consultabilissimo al dicastero della Giustizia.

Certo, poi ci sono le letture più strategiche –al limite del complottistico- di tutto l’accaduto. Tipo: «Donzelli ha agito di proposito» per distrarre le masse e impedire il lavorio di chi, sotto la cresta dell’onda, stesse tentando di smontare prima il carcere duro del 41 bis e, di conseguenza, l’ergastolo ostativo. Insomma, un delirio. Naturalmente, onde placare gli animi è intervenuto il ministro della Giustizia Nordio: «Le visite in carcere sono un dovere oltre che un diritto dei parlamentari. Escludo in via assoluta che vi siano rapporti tra esponenti del Pd, e non solo del Pd, ma tutti i parlamentari…», ha sentenziato il Guardasigilli. D’altra parte, «è scritto nella legge che i parlamentari hanno sempre diritto di visitare i detenuti, ovviamente nei limiti della sicurezza e di quello che ne segue». E, ovviamente, la dichiarazione di Nordio è quella ufficiale del governo. E della Meloni. Donzelli, alla fine, non si è scusato e anzi si è messo a disposizione di un Giurì d’onore che il Presidente della Camera Lorenzo Fontana ha quindi concesso e convocato su richiesta del Pd, non mancando di parlare di «rispetto reciproco» . 

E  fuori e dentro lo Stivale, manipoli di anarchici spaccano, incendiano, colpiscono per piegare lo Stato. Cospito, tra un digiuno e l'altro, sorride...