Retroscena

L'ineffabile De Luca e la sòla della Berlinguer a Mediaset

Francesco Specchia

C’è qualcosa di teatralmente irresistibile. C’è un’eco di Eduardo Scarpetta, un sospiro di Totò, una virata di De Crescenzo nell’eloquio pubblico di Vincenzo De Luca.
Prendete ieri: il governatore della Campania, assiso alla presentazione napoletana dei palinsesti Rai 2023-2024, ha imbracciato il microfono a mo’ di mitragliatore leggero, come uno scafato comedian. E ha esordito con «non so come farete senza...
avete tirato una sòla a Mediaset con la Berlinguer che si accompagnava a quella specie di cammelliere yemenita, capraio afgano». Il «capraio afgano», per capirci, era lo scrittore- montanaro Mauro Corona (che comunque accompagnerà Bianca nella sua transumanza a Mediaset). Non domo, De Luca ha insistito: «Ora, pensare di non poter più vedere quel Neanderthal che veniva ospitato nella sua trasmissione, quel troglodita che si presentava vestito come un capraio afgano, io sto male a immaginare che non avremo più quell’immagine di raffinatezza e di eleganza».

Dopodiché, il Presidente della Regione -amabilmente apostrofato “il cacicco” da Elly Schlein- ha espresso una grande idea della Rai come prima industria culturale del Paese: «A parte questa nota di dolore credo che siate in condizione di proporre un palinsesto davvero straordinario. Avete tirato questa sòla a Mediaset con Berlinguer. Mi raccomando, cose di qualità». Perché l'azienda pubblica, ha un dovere, e «la Rai è una delle grandi aziende che, al di là delle vicende politiche, mantengono un carattere nazionale. Una di quelle che rappresentano la ricchezza e l’ossatura del nostro paese. Dal punto di vista della tenuta culturale e civile la Rai è una presenza insostituibile in Italia». E sulla difesa deluchiana della tv di Stato concordiamo tutti. Ci mancherebbe altro. Anche perché la Rai a Napoli ha prodotto, in effetti, mirabilie televisive, da un Posto al sole a L’amica geniale ai Bastardi di Pizzofalcone.
Lode alla Rai, e sta bene.
Ma concentriamoci sull’irresistibile passione bastiancontraria di De Luca, sulla sua personale propensione all’assalto alla baionetta. Le parole di De Luca su Corona hanno un loro oggettivo costrutto. Voglio dire: nel 2019 dovette grande e profondo come i laghi del Carso il senso di disagio degli stambecchi delle Dolomiti che si fossero imbattuti in Mauro Corona con addosso smoking, occhiali scuri alla Ray Charles e un cappello da forestale in testa, e una birra in mano, pronto al rutto potente a causa del suo amore perduto; allora, così vestito, subì la Berlinguer che aveva interrotto brutalmente la loro liaison a Cartabianca(Raitre,martedì, prime time), proprio a causa di una birra aperta e scolata in diretta.
In quel momento, tutti gli osservatori dettero a Corona del «villico»: i politici, i giornalisti, probabilmente anche gli stambecchi. Poi, siccome Bianca scoprì che il botta-e -risposta col villico portava ascolti; be’, lo perdonò e gli rifece il contratto. E Corona, da villico tornò a essere un intellettuale eccentrico e ecosostenibile. De Luca non gli ha dato del “villico” ma ha usato altri epiteti zootecnici. Epperò il senso è lo stesso. Molti dei vertici Rai, all’intemerata di Vincenzo sono decolorati nell’imbarazzo; molti altri hanno applaudito a denti stretti immaginando che di fronte a loro non ci fosse De Luca ma Crozza che faceva De Luca. La verità vera è che il governatore sta sempre più affinando la sua tecnica, in vista della battaglia dentro un partito che gli è sempre più ostile. E ciò lo rende, onestamente, sempre più simpatico.

Un giorno Conte, l’altro la Schlein, l’altro ancora la Berlinguer. Una strategia d’attacco che può portarlo a futuri multipli. Magari anche in Rai. Comunque «cammelliere yemenita» me la segno...