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Abodi ha perso le mie chiavette? Allora riascolti Report...

Luciano Moggi
Luciano Moggi

Luciano Moggi nasce a Monticiano il 10 luglio 1937. Dirigente di Roma, Lazio, Torino, Napoli e Juventus, vince sei scudetti (più uno revocato), tre Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa europea, una Coppa Intertoto e una Coppa Uefa. Dal 2006 collabora con Libero e dal 13 settembre 2015 è giornalista pubblicista.

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Mi dispiace signor ministro Abodi, per lo smarrimento della chiavetta... Comunque dopo la trasmissione di Report non ne avrà più bisogno e visto che a Radio Anch’io, il giorno stesso della trasmissione, ebbe a dichiarare che se ne fosse stato in possesso, avrebbe allertato “immediatamente” le autorità competenti, spero adesso che lo faccia perché Report ha scoperchiato la pentola. Basterà mettere in fila le dichiarazioni di Franco Carraro, il vero manovratore del campionato, intese a salvaguardare alcune società dalla retrocessione, con intromissione anche nella lotta al vertice: prima di Inter-Juventus del 2004, telefonava a Bergamo imponendogli di dire all’arbitro Rodomonti di non fare favori alla Juventus e di pensare magari a chi stava dietro (Inter).

E Bergamo, eseguendo l’ordine del presidente, telefonava all’arbitro Rodomonti per dirgli di non fare favori alla Juve. In altra occasione, Bergamo, riferendosi questa volta alla squalifica di Ibrahimovic e al ricorso fatto dalla Juve contro la squalifica, disse a Meani (dirigente addetto agli arbitri del Milan) di non preoccuparsi perché l’assistente Griselli, la cui testimonianza poteva far respingere il ricorso, era di Livorno come lui (Bergamo) e di conseguenza il ricorso poteva considerarsi respinto (e così avvenne). Dalle intercettazioni emergeva poi che Meani, aveva colloqui giornalieri con Collina, a cui fissò persino un appuntamento con Galliani, all’epoca presidente di Lega. E anche quanto emerso su Galliani e il Milan stesso, che usava addirittura la politica allertando il sottosegretario Gianni Letta per favorire l’arbitro Paparesta.

O quanto emerso sul compianto presidente dell’Inter che andava nello spogliatoio degli arbitri prima della semifinale di Coppa Italia a chiedere all’arbitro Bertini di far vincere la sua squadra. Questa signor ministro Abodi era la vera associazione a delinquere, non la Juventus e i suoi dirigenti. Si domandi come abbiano fatto Auricchio, gran regista e il pm Narducci a dire: «piaccia o non piaccia non ci sono telefonate di Inter e Milan e altre società con arbitri e designatori». Un magistrato, il dottor Magi, che scavando su tutte le intercettazioni non volute sentire a Napoli, aveva evidentemente capito tutto, infatti nella sentenza della Corte D’Appello di Milano 2166 del 2018, oltre a smentire i colleghi di Napoli, condannava Gianfelice Facchetti, autore della querela contro il sottoscritto, scrivendo che il di lui padre, «faceva lobbing con gli arbitri» e il procuratore federale Palazzi addirittura aumentava la dose, «l’Inter è la società che rischia più di tutte per il comportamento illegale del suo Presidente». E per finire fu scritto in sentenza che, «non erano da ascrivere colpe al cosiddetto sistema Moggi perché era una corruttela generale vigente nel calcio di quel tempo».

Dal 2006 è passato tanto tempo, ma la verità non ha età. Mi auguro che il presidente Mattarella abbia seguito tutte le incongruenze del processo ordinario e voglia dare un contributo a questa verità che non ha niente a che vedere con quella sbandierata dai Palamara, Auricchio e Narducci. E, assieme al premier Giorgia Meloni, al ministro dello Sport Abodi riesca a far dire al presidente federale Gabriele Gravina i motivi della radiazione, visto che il processo sportivo cosi sentenziava: «campionato regolare, nessuna partita alterata». Sentenza che tra l’altro spingeva un maresciallo dei carabinieri di Roma, che indagava sul caso, a dire che non c’erano le basi per fare un processo. Così facendo sarà reso anche un servizio alla credibilità della giustizia. Basterà osservare la diversità tra le due sentenze: quella del processo di Napoli e quella della corte d’appello di Milano. E il motivo del contendere era sempre lo stesso per entrambi i processi. 

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