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Patti prematrimoniali in Italia? Non esistono, ma...

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Lavoro con l'Avv. Annamaria Bernardini de Pace e mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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Capita spesso di sentir parlare di “patti prematrimoniali”, per lo più associati ad attori americani o personaggi dello spettacolo oltre oceano. Con questi patti i coniugi stabiliscono, prima di sposarsi, come affrontare l’eventuale divorzio. Ci sono, così, accordi –lunghi anche centinaia di pagine – che indicano analiticamente come comportarsi nel caso in cui dovesse verificarsi qualsivoglia ipotesi di fine del matrimonio. Quale risarcimento del danno un coniuge deve all’altro, per esempio, in caso di tradimento o di uso di sostanze stupefacenti, quale somma di denaro un coniuge si impegna a corrispondere all’altro a titolo di mantenimento, come può variare questo importo e così via. 

Un vero e proprio progetto di vita, studiato “a tavolino” e al quale le parti, una volta sottoscritto, saranno obbligate ad attenersi. In America, infatti, il giudice prende atto di quelli che sono gli accordi dei coniugi nel patto prematrimoniale ed esattamente a quelle condizioni concordate pronuncia il divorzio. Non è obbligatorio contrattare la propria vita e le sorti del proprio matrimonio ma, una volta assunta questa decisione, non si può tornare indietro. Anche perché, nei Paesi che riconoscono i patti prematrimoniali, vi è la sostanziale mancanza di un regime patrimoniale di riferimento. Se, in Italia, quando ci si sposa, si sceglie la comunione o la separazione dei beni, negli Stati Uniti questa scelta non è richiesta. Quindi, nel dubbio di “fare a metà”, è sempre meglio decidere in anticipo quanta e quale parte del patrimonio resterà a ciascun coniuge. 

In Italia, invece, i patti prematrimoniali – attualmente – sono considerati nulli. Non esiste una legge che li regolamenti e il codice civile li esclude espressamente.  Quindi se i futuri coniugi italiani – a dispetto della legge – sottoscrivono un patto prematrimoniale, non ha alcun valore? È come se non fosse stato concordato e firmato dalle parti? 

In realtà, non si può negare il peso probatorio che, comunque, i patti assumono in caso di fine del matrimonio. In altre parole, il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla separazione e sul divorzio, non potrà del tutto disinteressarsi a quanto i coniugi avevano concordano. Questo perché tali accordi rappresentano una fotografia delle abitudini della vita familiare, del contributo economico e del lavoro domestico programmato da entrambi e previsto per ciascuno e così via. Ma, soprattutto, perché i patti prematrimoniali sono una fotografia scattata “in tempi non sospetti”, ossia quando i coniugi erano guidati dal “per sempre insieme” e non dal rancore, dalla rivalsa o dal dolore. Sono, quindi, più oggettivi e costituiscono un binario sul quale il Giudice può viaggiare per guidare le proprie decisioni. Un binario che il giudice potrà sfruttare anche, per esempio, per invitare le parti alla sottoscrizione di un accordo già all’udienza presidenziale (che è la prima udienza fissata nel procedimento di separazione e di divorzio e dove le parti devono comparire personalmente davanti al Giudice).  Non è logico, per esempio, coltivare e alimentare una discussione volta a determinare il contributo economico che il marito (lavoratore ed economicamente autosufficiente) deve alla moglie (lavoratrice ed economicamente autosufficiente) quando le parti, preventivamente, avevano concordato che, in caso di divorzio, ognuno avrebbe provveduto al proprio mantenimento. La differenza sostanziale rispetto ai paesi dove i patti prematrimoniali sono riconosciuti, però, sta nel fatto che certamente il Giudice italiano non potrà imporre alle parti di attenersi al contenuto dei loro accordi. Ma questo, ribadisco, non vuol dire che il Giudice non possa utilizzare l’accordo prematrimoniale come suggerimento per le proprie decisioni o per proporre alle parti una definizione consensuale.

In conclusione, quindi, in una società caratterizzata dal continuo cambiamento e dalla crisi della monogamia, è intelligente interrogarsi sull’opportunità di stipulare un contratto prematrimoniale e sull’utilità che questo potrebbe avere laddove la storia d’amore non dovesse avere l’epilogo romantico e fiabesco al quale tutti ambiscono quando la vita di coppia inizia. Forse, un approccio al matrimonio più disincantato e concreto permetterebbe di gestire i problemi con maggior pragmaticità, senza dover, poi, perdere tempo, denaro ed energie nella dolorosa “guerra dei Roses”.

di avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace

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