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La violenza domestica e i rischi del lockdown

Marzia Coppola
Marzia Coppola

Avvocato matrimonialista, educata alla resilienza e alla libertà. Laureata in Italia e in Francia, ho continuato gli studi per diventare anche avvocato della Sacra Rota. Lavoro con l'Avv. Annamaria Bernardini de Pace e mi occupo di diritto di famiglia a 360 gradi (e più!). Convinta che anche dalla relazione peggiore si possa imparare qualcosa.

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A partire dall’8 marzo scorso, la regola che tutti dobbiamo rispettare è quella di stare a casa. Non per tutti, però, è così facile. Infatti ci sono persone, nella maggior parte dei casi donne, per le quali la casa non è sicurezza, conforto e rassicurazione. Ma è prigionia e pericolo. Secondo le statistiche ISTAT, durante il lockdown, le telefonate al numero antiviolenza sono cresciute del 59%. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013. Le chiamate sono motivate da una richiesta di soccorso per aver subìto violenze, per manifestare il disagio domestico e la paura di essere aggredite oppure anche solo per avere informazioni. 

Ecco, quindi, che #iorestoacasa non è un invito rassicurante. Quello che è davvero preoccupante, e che deve fare riflettere, è che la maggior parte delle donne vittime di violenza non denunciano la propria esperienza alle Forze dell’Ordine (o alle organizzazioni di sostegno alle vittime). Le motivazioni che stanno alla base di questa scelta sono moltissime: la paura di non essere credute, il timore di scatenare l’ira dell’aggressore, l’incertezza di non sapere dove andare e come affrontare il problema, la preoccupazione del giudizio degli altri, l’impossibilità di telefonare (in questo periodo) senza che il partner ascolti. 

Quindi, dietro alla crescita esponenziale delle richieste di aiuto che sono state registrate in questi mesi di quarantena, si nascondono numeri ancora più alti, vittime ancora più spaventate e donne ancora più rassegnate.  Il dato fornito dall’ISTAT, quindi, deve essere letto come il punto di partenza per tutte le altre donne che ancora non hanno trovato la forza per chiedere aiuto. Queste, infatti, devono pensare che tantissime persone si trovano nella loro situazione, che non sono sole, che insieme è più facile e che la loro vita deve essere ripresa in mano. Proprio da loro, che sono le uniche a poter decidere per il futuro (al di là della paura, delle difficoltà economiche e dell’abitudine). Non c’è motivo di colpevolizzarsi per non essere state ancora abbastanza forti da reagire, ma è necessario che si dia - oggi - il via alla tutela della propria dignità, del proprio orgoglio e della propria vita. A maggior ragione se ci sono dei minori coinvolti, magari testimoni della violenza scatenata sulla loro mamma, dei pianti la notte, delle grida e degli insulti. 

Tutte queste donne (o questi uomini), devono sapere che il numero nazionale antiviolenza (1522) è sempre attivo e raccoglie le richieste di aiuto e assistenza da parte di chi subisce violenza domestica. Peraltro, la Polizia dello Stato ha messo a disposizione un’applicazione che permette, tramite smartphone, di segnalare da casa – direttamente alla Polizia dello Stato – la violenza subìta. Per i meno tecnologici, grazie a un accordo tra i centri antiviolenza e la federazione farmacisti, sarà sufficiente recarsi in farmacia e chiedere di avere “una mascherina 1522”. Il farmacista capirà la parola in codice e si attiverà per fornire aiuto alla vittima. Poi è sempre possibile rivolgersi a professionisti per tutelare i diritti delle vittime con attenzione e competenza.  Solo in questo modo si potrà combattere la silenziosa emergenza che, in casa e in famiglia, cresce giorno dopo giorno tra uno slogan #iorestoacasa e un altro. 

Di Avv. Marzia Coppola
[email protected]
Studio legale Bernardini de Pace

 

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