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Il Re Matto stavolta si salverà? Diego Marcon fa rivivere Ludwig II di Baviera

Nicoletta Orlandi Posti
Nicoletta Orlandi Posti

Nicoletta Orlandi Posti è nata e cresciuta alla Garbatella, popolare quartiere di Roma, ma vive a Milano. Giornalista professionista e storica dell'arte, cura su LiberoTv la rubrica "ART'è". Nel 2011 ha scritto "Il sacco di Roma. Tutta la verità sulla giunta Alemanno" (editori Riuniti); nel 2013 con i tipi dello stesso editore è uscito "Il sangue politico": la prefazione è di Erri De Luca. Il suo romanzo "A come amore", pubblicato a puntate su Facebook, ha dato il via nel 2008 all'era dell'e-feuilleton. A febbraio del 2015 è uscito il suo primo ebook "Expo2051". Nel 2016 Castelvecchi ha pubblicato il suo libro "Le bombe di Roma"; nel 2019 è uscita la seconda edizione. Sta lavorando a un romanzo erotico. Il titolo del blog è un omaggio al saggio del prof Vincenzo Trione.

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"Dio come sono stanco, mi sento proprio giù. Vorrei tirar le cuoia e non pensarci più", canta un bambino vittima di un naufragio sul palco del Teatro Gerolamo a Milano. Accende fiammiferi in cerca di speranza, ma viene travolto dalle onde. Silenzio. Poi di nuovo la cantilena: straziante, commovente. Scendono le lacrime nel buio del piccolo teatro delle marionette di piazza Beccaria immedesimandosi in quel bambinetto disperato sballottato dal mare grosso. Si salverà? E io mi salverò? Realtà e delirio si mescolano e si rimane lì a rivivere in loop la tragedia di Ludwig con i nostri mostri, le paure, i mondi immaginati e rimossi, con la nostra fragilità.

 

 

 

Ludwing è l'opera con cui si entra in connessione con Diego Marcon (Busto Arsizio, 1985), uno degli artisti italiani più interessanti dell’ultima generazione, che con i suoi film, video e installazioni, costruisce misteriosi drammi da camera nei quali si muovono pupazzi, bambini e creature sospese tra l’umano e il post-umano. Mescolando melodramma ed effetti speciali, Marcon immagina una nuova umanità agitata da profondi dubbi morali e intrappolata in azioni angoscianti che si ripetono all’infinito. Installate in questo teatro-bomboniera, le opere di Marcon girano su loro stesse come ballerine in un ipnotico carillon, evocando i micromondi di Joseph Cornell, le fantasie di Carlo Collodi e Lewis Carroll, e i cosiddetti “dramoletti” di Thomas Bernhard

 

 

E proprio Dramoletti è il titolo della mostra appena inaugurata al Gerolamo che segna il ventesimo anno di attività nomade della Fondazione Nicola Trussardi. Proseguendo nel suo progetto di museo mobile con il quale Beatrice Trussardi e Massimiliano Gioni hanno riscoperto e trasformato strade, piazze, palazzi, spazi dimenticati e luoghi simbolici, occupandoli temporaneamente con le opere e le visioni di alcuni dei più importanti artisti contemporanei, questa volta la Fondazione Trussardi ha scelto il Teatro Geronimo, (gioiellino architettonico nel cuore della città noto per l'attività di burattinai dei Fratelli Colla), per presentare il lavoro di Diego Marcon che proprio su quel palco antico ha messo in scena l'animazione digitale Ludwing
Il titolo, la colonna sonora eseguita con la collaborazione del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala e la suggestiva scenografia del teatro sembrano evocare la figura di Ludwig II di Baviera, il cosiddetto Re Matto, che dedicò la sua vita e le sue finanze a costruire castelli e spericolate fantasie architettoniche e a sostenere i sogni di Richard Wagner, per il quale finanziò anche il teatro di Bayreuth. Dichiarato pazzo e deposto a causa della sua eccentricità e delle folli spese, Ludwig morì annegato ma finì per incarnare il mito di un’esistenza consacrata all’arte al di là di qualsiasi ragionevolezza. Ritratto da Luchino Visconti nel suo film omonimo e ammirato anche da Walt Disney che scelse il castello di Ludwig come modello per Disneyland, Ludwig di Baviera forse non ha nulla in comune con il bambino di Marcon, ma il suo video evoca atmosfere in cui realtà e delirio si mescolano in intrecci complessi e pericolosi, degni delle pazzie del Re Matto. 

 

 

 

 

 

Negli spazi delle gallerie e del loggione del Teatro Gerolamo Marcon ha inoltre installato Untitled (Head falling) (2015), una serie di proiezioni di film in 16 millimetri su cui ha disegnato – colorando e incidendo direttamente la pellicola – ritratti di volti e teste che sembrano cadere assopite. 
Nella sala in cima alle scale l'artista inscena il dramma di The Parents’ Room (2021), nel quale attori indossano maschere modellate sulle loro sembianze, rese però mostruose dall’assenza di espressione. L’impassibilità delle figure contrasta con la violenza della narrazione e con la melodia della colonna sonora che rende ancora più estraniante questo misterioso frammento di teatro della crudeltà in salsa grand guignol. Poco più in là, accanto alle marionette che recitavano nel teatro, una serie di bozzetti di letti vuoti allude forse a un’altra perdita o alla fine dell’infanzia.


 

 

Da questa e dalle altre opere in mostra emerge un mondo abitato da creature che mescolano naturale e artificiale in complesse combinazioni, tutte ugualmente perturbanti. Quelli di Marcon sono nuovi mostri: surrogati, replicanti, intelligenze più o meno artificiali, che a ben vedere non sono poi troppo diversi da quelli che da secoli popolano la storia della letteratura – marionette, bambole, golem, Frankenstein, robot… I pupazzi informatici, le teste in celluloide e le maschere di lattice di Marcon sono i nuovi avatar di una genia post-umana che disperatamente cerca nella plastica e nel digitale di scovare una traccia di verità. In questa ricerca Marcon scopre che l’umano si nasconde nel difetto, nell’oscurità, nell’eccesso, nel patologico e nel malvagio persino, e che all’arte forse spetta il compito ingrato di piegare la tecnologia verso le bassezze dell’umanità.

 

La mostra è gratuita e merita assolutamente di essere visitata. Fino al 30 giugno.

 

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