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Luigi Scordamaglia: "Dare alle banche la possibilità di prestare decine di miliardi alle imprese"

Tobia De Stefano
Tobia De Stefano

Mi sono laureato in legge e me ne infischiavo dell'economia, poi ho iniziato a fare il giornalista, gavetta-collaborazioni-pochi quattrini, e ho capito che senza soldi non si cantano messe. Da quel momento la gestione dei risparmi è diventata la mia passione. Ed eccomi qui a curare un blog sui “Vostri soldi” per il sito più irriverente che potete trovare in rete.

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«Il giorno della ripartenza è oggi. Da questo momento ogni ora che perdiamo nel programmare la ripresa delle attività rappresenta un potenziale cliente o una probabile commessa che regaliamo ai nostri concorrenti, tra i quali ci sono anche le aziende tedesche e olandesi che con i loro governi continuano a negare solidarietà all’Italia». L’appello lanciato da Luigi Scordamaglia, il consigliere delegato di Filiera Italia, la fondazione che raccoglie il meglio del made in Italy alimentare, dalla produzione agricola con Coldiretti fino alla Gdo, non è una sollecitazione affinché l’economia prevalga sulla salute, ma un invito a non perdere altro tempo, perché il gap accumulato adesso potrebbe non essere recuperato più.

Va bene la concorrenza, ma anche i dati di oggi parlano di centinaia di morti, le sembra opportuno far riaprire le aziende?

«Ovviamente non mi riferisco alla produzione agroalimentare che non si è mai fermata, ma ad altre filiere funzionali, dalle macchine agricole alla componentistica. Comunque, qui non parliamo di un’apertura indiscriminata, noi chiediamo al governo di indicare dei tempi certi e graduali per rimettere in moto “la macchina”».

Perché è così importante?

«Perché nel resto del mondo non ci aspettano. I clienti hanno la necessità di sapere quando gli verrà consegnato il prodotto che hanno chiesto. Possiamo dire che ritardiamo di un mese, certo, ma rispondere con un “non lo sappiamo” equivale a dire rivolgetevi a un’altra azienda».

Quindi Conte cosa dovrebbe fare?

«Quest’esecutivo dovrebbe indicare una data a partire dalla quale determinate attività potranno riprendere. Ovviamente indicando una serie di paletti precisi: dalla protezione degli under 65 fino alle patenti di immunità che i test immunologici potranno dare».

E se poi i dati del contagio tornassero a crescere? Si direbbe che il governo ha sbagliato ad accelerare.

«Non è così, perché c’è un esempio da seguire, quello della filiera dell’agroalimentare che ha continuato a produrre rispettando determinati standard sanitari di sicurezza e senza far registrare particolari problemi».

Voi non avete chiuso eppure soffrite... Per esempio mancano 250 mila persone che lavorino nei campi.

«Appunto. Soffriamo noi, si figuri gli altri. Anche qui però se il governo ascoltasse le richieste della Coldiretti sull’introduzione dei voucher e sull’attenzione da prestare ai flussi dai Paesi dell’Est che sono storicamente un importante bacino di braccianti, staremmo molto meglio».

Riaprire, insomma, è il punto di partenza. Cos’altro vi aspettate dalla fase “2”?

«Finalmente al nostro settore è stata riconosciuta una centralità strategica, con il governo che potrà intervenire attraverso il golden power per evitare scalate ostili o partecipazioni straniere che superino il 10%, ma non basta difendersi».

Bisogna attaccare la crisi?

«La priorità è garantire liquidità alle Pmi che sono al collasso. Questi soldi possono arrivare solo dalle banche attraverso la garanzia dello Stato, ma è fondamentale che gli istituti di credito non facciano un’ulteriore valutazione sulla solidità delle aziende richiedenti, altrimenti quei finanziamenti non li vedremo mai».

Certo, però anche le banche hanno dei parametri a cui attenersi prima di concedere un prestito...

«Lo sappiamo e per questo abbiamo chiesto al governo un intervento normativo per concedere loro una deroga rispetto ai requisiti patrimoniali legati alla valutazione del rischio esposizione. Se non si fa questo, alle Pmi non arriverà mai l’ossigeno per sopravvivere».

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