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Essere Woody Allen

Dio, amore e morte secondo me

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  Ho visto il documentario su Woody Allen di Robert Weide attualmente nelle sale (poche) e mi sembrava di sentire parlare me stessa. Non sono la reincarnazione di Woody Allen in quanto lui è ancora vivo, ma condivido ogni suo pensiero. “Ero un bambino allegro e felice. Poi a cinque anni mi hanno detto che siamo mortali. Allora tutto è cambiato”. Come dargli torto? Spiegando il suo film “La Rosa Purpurea del Cairo”, in cui la protagonista Mia Farrow va continuamente al cinema per sfuggire alla realtà poco soddisfacente che vive, dice: “Ci sono la fantasia e la realtà. E' bello credere nelle fantasie, ma ti portano alla follia. Credere nella realtà provoca dolore”. Sottoscrivo. Parlando di “Nebbie e delitti”, Woody spiega: “Vorrei credere in Dio, sarei molto più felice. Ma non ci riesco”. In comune abbiamo anche un'altra caratteristica, oltre all'infinito amore per New York, il nichilismo e il pessimismo. “Non sono paziente”, dice, “ai miei attori dico: ok, sbrigati, devo vedere la partita a casa”. Anche io non vedo l'ora di finire un articolo, quando l'ho fatto non ne posso più, non sto lì ad abbellirlo sei ore, penso: “Bene,  passiamo ad altro”.  Qualcuno penserà: Woody è un genio, tu hai una rubrica che si chiama Tremenza. Vero. E allora, citando sempre il genio, concludo con questa sua frase per niente ironica: “L'unico ostacolo tra me e la grandezza sono io”. 

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