Penelope

Frantz, elogio della menzogna nell'epoca della verità a tutti i costi

Brunella Bolloli

Viviamo nell'epoca della trasparenza e della ricerca della verità a tutti i costi. C'è chi è ossessionato da un avviso di garanzia, perché dobbiamo essere tutti candidi come gigli, e chi non perdona chi in politica omette qualche piccolo particolare del proprio passato. Siamo sottoposti ai raggi X, denudati di ogni briciolo di privacy e messi in piazza perché lo ordina la moda social e perché a noi stessi, in fondo, piace così, salvo poi accorgerci troppo tardi che almeno certi dettagli (intimi) sarebbe meglio tenerli riservati. Dire bugie è diventato quasi un lusso per pochi e anche se mentire non va mai bene, se può servire per affievolire il dolore altrui diventa quasi una scelta obbligata. Almeno questo ci insegna Frantz, l'ultimo film del regista francese François Ozon, presentato al Festival del Cinema di Venezia e pluripremiato. Frantz è poetico, in bianco e nero, ma pronto a colorarsi nelle scene di gioia, quando c'è la musica e il protagonista si esibisce al violino. E' drammatico, perché ambientato al termine della Prima guerra mondiale, in una cittadina tedesca dove i francesi non sono i benvenuti. Adrien è lo straniero che arriva spinto dal rimorso e si mette a pregare sulla tomba del giovane Frantz di cui, dice, era amico al fronte. Anna è la fidanzata che ha perso l'amore della sua vita e che deve stare accanto agli anziani genitori di quell'unico figlio morto che hanno già troppo sofferto, ma che allo stesso tempo si illude che Adrien possa essere il suo futuro. Frantz è un film sulla menzogna e anche sulle illusioni. Una pellicola sentimentale ma tragica, girata e recitata molto bene al punto che alla fine non ci sente di condannare chi mente. O, almeno, si perdona Anna che mente a fin di bene, meno Adrien che pecca di coraggio nel proprio intimo. Forse è anche un film che assolve le donne che proteggono e boccia certi uomini senza audacia.