Penelope

Anche Miss Universe nella trappola del #Metoo

Brunella Bolloli

Peggiori nemiche di noi stesse: ipercritiche, feroci, terribili. Inutile negarlo, noi donne siamo fatte così. Non sempre, ma capita spesso. Per quanto ci sforziamo di essere morbide, c'è sempre un difettuccio dell'altra che ci salta all'occhio. Impercettibile, ma c'è. In caso di una gara, dove deve esserci un'unica vincitrice, poi, ci buttiamo nella mischia e non certo per calmare gli animi. Competition is competiton, è la nostra regola aurea. Obiettivo: essere la primadonna, la favorita. Folle, quindi, la decisione di affidare a una giuria di sole signore l'incoronazione della più bella dell'universo, come fosse una riunione del Soroptimist. Eppure, il #Metoo ha colpito anche qui. Con una scelta che non ha precedenti, l'organizzazione della 67esima edizione del concorso di bellezza, ha sentenziato che per la finalissima che si svolgerà a Bangkok il 17 dicembre (per l'Italia c'è la bellissima Erica De Matteis), i maschi sono stati segati: via tutti, a casa, non siete degni. Ma che concorso è quello in cui manca il punto di vista maschile? Che razza di credibilità possiamo avere se ce la cantiamo e ce la suoniamo da sole, se tagliamo con un colpo di cesoia l'altra metà del cielo e ci facciamo giudicare solo da sguardi femminili, con il rischio di una valutazione ancora più severa e magari priva di obiettività? Ok, il maschio alla Weinstein ha fatto del male alle donne, il maiale stia lontano da noi, chi ha sbagliato va punito, ma ghettizzare un concorso internazionale di bellezza non è la soluzione, tanto più che ogni ragazza, in genere, è gratificata di più se a premiarla è un rappresentante dell'altro sesso, non ci vuole un genio a capirlo. Invece, la presidente di Miss Universe, Paula M. Shugart, ha spiegato all'Abc che