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Così parlò Celentano

il mollegiato ad Annzoero sul nucleare

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Lungi dal farne una questione ideologica. L'Annozero antinuclearista ha vinto la serata con inarrivabile drammaturgia, 5,7 milioni e share di 23,66%. Chapeau. Ma non è questo il punto. Il punto, narrativamente inspiegabile, è l'ennesima presenza di Adriano Celentano elevato a maître à penser politico da Michele Santoro. Al di là di come la si pensi -ogni opinione è rispettabile - Celentano, ad esser onesti, non è né Carlo Rubbia nè Zygmunt Bauman. Non sa di nucleare, né di sociologia; il suo pensiero è sì liquido ma brilla della banalità dei semplici. «É chiaro che se scoppia una centrale nucleare in Francia ci andiamo di mezzo, succede una catastrofe. Ma non è questa una ragione per fare il nucleare anche in Italia. É come dire che se quello lì ruba, rubano tutti, perché non rubiamo anche noi? No, perché dopo la scintilla buona, io parlo della scintilla che fa divampare l'incendio benevolo, l'incendio parte sempre dalla scintilla...», dice Celentano intervistato da Ruotolo. É seduto, ha alle spalle non la solita libreria oleografica ma uno scaffale pieno di faldoni di quelli per la denuncia dei redditi, immagine già di per sè d'una tristezza infinita. La scintilla benevola dovrebbe, in effetti, divampare dal mobilio. Celentano invita al voto referendario, ma spiazza  per quella sua caratteristica ignoranza sublimata che lo spinge ad impartite lezioni sulle “tegole solari” proprio a quel Chicco Testa che le tegole le vende. Poi ci sono le pause celentanesche che poco hanno d'oracolare e vengono riempite con concetti confusi. Lo stesso fenomeno si verifica, di solito, con Francesco Alberoni. Ma le pause di Adriano qui servono, di riffa o di raffa, a piazzare un marchettone dell'ultimo disco: in questo caso trattasi del videoclip “Sognando Chernobyl”, peraltro non brutto. Celentano è bravissimo nel carisma, bravo nel canto, bravino nella recitazione, modesto in tutto il resto. E a Celentano i politici di centrodestra ospiti di Santoro contrappongono oggi la più spietata delle tattiche: l'ascoltano e dicono «Celentano lei è il mio cantante preferito...»; lui sorride, l'imbarazzo gli sgrana il discorso. Tale tattica l'ha usata  Lupi, e poi la Santanchè: carognata sublime, a pensarci. Non è nemmeno, tra l'altro, questione d'incoerenza. Celentano è quello di sempre, non è neanche diventato comunista come maligna qualcuno. É soltanto, ferocemente, Celentano. E la bolla di plastica in cui fa rotolare i suoi sermoni ecologici e i suoi micidiali pipponi rimane la betoniera di sempre: «De Magistris ha avuto l'intuizione di puntare sull'uomo, educherà i napoletani alla raccolta differenziata» e se fossimo napoletani forse ci incazzeremmo un tantino. E qui non cadremo nel tranello di accusarlo di ecologismo ad orologeria. La verità è che la riverenza per Celentano è un fenomeno tutto italiano e generazionale -tre generazioni, almeno-. Ci ricorda il Calvero/Chaplin di Luci della ribalta. Nella tv di oggi, oltre l'ospitata, probabilmente, non farebbe più gli ascolti di un tempo; anche perchè questi sermoni, a differenza di Benigni («Il mondo che abbiamo non è in eredità dai padri è in prestito dai figli»), non sono scritti da autori professionisti. I più giovani, ascoltandolo, si chiedono: “ma, ‘sto Celentano ci è o ci fa?”. Nel momento in cui realizzano che Celentano ci è, gli s'apre un mondo. E si rendono conto che l'ex ragazzo della via Gluck, l'animale di spettacolo più longevo sul mercato, “il vero idiota” (secondo la definizione che di lui diede David Bowie dopo un'intervista surreale fattagli da Adriano stesso), vede oramai rarefarsi la magia come i propri capelli. Il che un po' dispiace. Ma anche un po' no.

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